Discussione generale
Data: 
Lunedì, 28 Luglio, 2014
Nome: 
Daniela Gasparini

A.C. 2486-A

 Signor Presidente, il decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 24 giugno approda alla discussione di quest'Aula notevolmente modificato. La stessa Ministra Madia ha dichiarato che è stato migliorato dal lavoro in Commissione e dalla paziente mediazione del relatore e della stessa Ministra, nonché del sottosegretario, che è qua presente. Un lavoro di squadra, in cui anche le minoranze si sono sentite coinvolte ed hanno portato il loro contributo. 
Con i suoi 54 articoli, questo decreto è l'inizio del più complesso disegno di riforma della pubblica amministrazione, che continueremo ad affrontare e definire con un disegno di legge già depositato al Senato e che mi auguro si possa approvare al più presto, perché serve come consolidamento, verifica e messa a punto delle scelte anticipate da questo decreto. 
Lo sappiamo tutti che senza una pubblica amministrazione moderna ed efficiente non riusciremo ad essere competitivi sui mercati, non riusciremo ad attrarre capitali di investimento, non riusciremo ad uscire dalla crisi, non riusciremo, soprattutto, a riconquistare la fiducia dei cittadini. 
Oggi il dibattito politico-mediatico è concentrato sulla riforma del Senato, ma ritengo che l'impresa più difficile sia proprio la riforma della pubblica amministrazione: richiede una forte volontà, la continuità nell'impegno ed un tempo utile per realizzarla. 
La riforma della pubblica amministrazione, assieme alla «legge Delrio», sono le riforme che cambieranno radicalmente il rapporto tra cittadini ed istituzioni, perché i risultati saranno misurati ogni giorno. 
Se tra mille giorni sarà più facile avere un permesso per ristrutturare casa o pagare le tasse, se sarà più trasparente il bilancio della pubblica amministrazione, se sarà superata la frammentazione delle competenze, se per le imprese non ci sarà un extra costo determinato dalla burocrazia improduttiva, se i cittadini potranno sapere con trasparenza chi fa che cosa e quanto costa, allora avremo vinto la sfida. 
Se fallissimo, sarebbe un grave danno per il Paese e soprattutto metteremmo a rischio la speranza nel cambiamento che, con il voto al Partito Democratico e al Governo Renzi, i cittadini ci hanno consegnato, con il voto alle europee. Infatti, i fallimenti fin qui registrati sono stati dovuti soprattutto alla mancanza di volontà politica e per una concezione dell'amministrazione al servizio del potere e non delle istituzioni. E anche perché la pubblica amministrazione è stata un luogo per dare lavoro e nel sud è stata il calmiere della disoccupazione. Voglio ricordare un pezzo che mi è sembrato interessante in questa breve storia della nostra Italia. Nel 1928, il Ministro del tesoro, De Stefani, che aveva la delega alle riforme, finì i propri lavori e li presentò a Benito Mussolini il quale, dopo aver ascoltato le proposte, rispose: «Caro De Stefani, le vostre proposte farebbero diminuire l'assorbimento degli impieghi di Stato, dei diplomati e dei laureati del Mezzogiorno, con danno del suo proletariato in colletto bianco e cravatta; si deve adottare la politica del massimo numero di posti nella burocrazia dello Stato se non vogliamo tirarci addosso un'insurrezione, quella della fame degli intellettuali, la più difficile a placarsi». Il dossier fu cancellato e non c’è neanche più una copia. 
Questa idea della pubblica amministrazione ha attraversato quasi tutto il Novecento ed è stata condivisa anche da molti Governi repubblicani. Per questo, sono fallite tutta una serie di riforme, come la riforma Lucifredi del 1953 e la riforma Giannini del 1980, che fu portata in Parlamento, ma mai fu approvata. Solo nel 1992-1993, con la riforma Amato-Cassese, si comincia a parlare di razionalizzazione della pubblica amministrazione e si introduce il concetto di distinzione tra politica e amministrazione. Ma è nell'anno 1993 che le cose cambiano con la crisi dei partiti e il problema di contenere la spesa e, da questo punto di vista, frutto della crisi dei partiti storici, l'elezione diretta dei sindaci. E in quel momento sullo scenario nazionale irrompono nuovi soggetti politici che, avendo una responsabilità diretta con i cittadini, chiedono il cambiamento dell'organizzazione dello Stato. Organizzazione che viene modificata con le leggi Bassanini e con il Titolo V della Costituzione che riconosce il ruolo degli enti locali e supera la Costituzione precedente, riconoscendo che non c’è più un rapporto gerarchico tra Stato, regioni ed enti locali. Un fatto importante che, però, ha anche determinato una frammentazione nelle scelte. Tuttavia, proprio perché la riforma costituzionale non è stata poi applicata come avrebbe dovuto, sia nella parte attuativa dei ruoli, ma anche nella parte economica e fiscale, ciò ha determinato una confusione e un rallentamento della pubblica amministrazione. 
La scelta fatta dal Governo Renzi e dalla maggioranza di mettere in fila coerentemente la riforma del Titolo V, la riforma della pubblica amministrazione e la riforma degli enti locali è una scelta strategica e coerente per affrontare seriamente la riorganizzazione del sistema Italia. Con questo decreto-legge, si anticipano, dunque, alcune scelte che dovranno essere messe a punto e arricchite con il disegno di legge che andremo a discutere, come mi auguro, a partire da settembre. E dopo le audizioni svolte e gli incontri tenuti in queste settimane, mi sono convinta che occorra continuare il confronto con le diverse organizzazioni che rappresentano il complesso mondo della pubblica amministrazione perché si ricerchino insieme le strade migliori per consolidare la riforma avviata. In particolare, ritengo che occorra meglio definire il ruolo della dirigenza pubblica, superare il ruolo formale dei segretari comunali per garantire, però, alla pubblica amministrazione figure apicali con capacità manageriale; rivedere il sistema delle aziende pubbliche; riorganizzare le funzioni delle camere di commercio senza perdere quella collaborazione tra pubblico e imprese private che ha sostenuto l'economia in questi anni. Tutti temi che potranno trovare nel confronto dei prossimi mesi e nell'approvazione del disegno di legge una risposta avanzata e coerente con i sei pilastri della riforma che il Ministro ha più volte sottolineato e che mi sembra giusto citare di nuovo: semplificare l'amministrazione, il suo linguaggio e la sua azione; garantire la trasparenza con azioni concrete; riportare le persone e le loro competenze al centro dell'azione amministrativa; dirigenti pubblici protagonisti della riforma; conciliazione dei tempi di vita e pari opportunità ai ruoli di vertice; utilizzo efficiente del denaro dei cittadini. Una sfida che non si vince soltanto, approvando leggi di riforma qui a Roma, ma si vince se gli 8.057 sindaci, gli 8.057 consigli comunali e i 3 milioni 400 mila lavoratori pubblici faranno di queste riforme l'occasione per una grande stagione costituente delle autonomie locali. 
Concludo con un'osservazione da vecchia femminista: dopo tanti maschietti che hanno affrontato il tema delle riforme dell'organizzazione dello Stato, adesso si stanno cimentando tre donne, Marianna Madia, Maria Elena Boschi e Maria Lanzetta. Quello delle riforme è anche un grande cambiamento culturale e richiede il coraggio di cambiare il punto di vista, il coraggio delle donne (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).