A.C. 1917-B
Grazie, Presidente. Inizio anch'io con una considerazione di contesto che, poi, è una considerazione sull'importanza che viene attribuita dalla maggioranza a questa istituzione, all'istituzione che cerchiamo di onorare anche questa sera. Da inizio mandato avete annunciato questa riforma come un cambiamento epocale, come uno degli elementi portanti del vostro percorso e, questa sera, avete dato uno spettacolo eloquente, anche del rispetto delle istituzioni, del Parlamento, con la posizione della seduta fiume con voto giovedì per consentire di svolgere gli appuntamenti elettorali e, nel silenzio, comunque, anche in questo caso come in molte altre situazioni, abbiamo avuto l'occasione di verificare.
Eppure ci apprestiamo e ci accingiamo a votare una riforma che interviene in maniera profonda, in maniera dirompente sull'architettura costituzionale della giustizia del nostro Paese, una riforma che nel suo impianto non si limita a correggere un sistema, ma lo trasforma radicalmente, alterando gli equilibri tra i poteri dello Stato, introducendo un principio che rompe la tradizione giuridica e costituzionale su cui si è fondata, sin dalla nascita della Repubblica, la nostra democrazia. Il provvedimento separa, per via costituzionale, le carriere dei magistrati e fin qui si potrebbe pensare anche ad un dibattito tecnico, un dibattito ordinamentale, ma è stato dimostrato, dai tanti interventi che si sono susseguiti in queste ore, che ci sono stati in Commissione, ma anche quelli portati avanti da esperti, da giuristi, che non è così, perché questa non è una riforma tecnica. È una riforma politica, ma non nel senso più alto del termine. È una riforma della modalità che avete di gestire il potere, di pensare il potere. È una scelta identitaria, ideologica, divisiva e, come tale, va trattata, come tale pensiamo che vada giudicata.
L'ho detto anche in occasione della discussione generale, come Partito Democratico, non ci siamo mai sottratti al confronto sulle riforme della giustizia, non abbiamo mai omesso di segnalare la necessità di miglioramenti. Abbiamo sostenuto, in più occasioni, che il sistema giudiziario ha bisogno di interventi profondi e lo abbiamo detto e ribadito anche oggi: servono più efficienza, più tempestività, ma nessuna riforma può essere considerata giusta se, invece, indebolisce le garanzie anziché rafforzarle. E lo diciamo ancora una volta con chiarezza: questa riforma non serve alla giustizia ma serve al controllo del potere sulla giustizia. Il disegno che avete costruito non si limita a separare le carriere, che, del resto, avevano già un percorso e hanno già un percorso di separazione quasi reale. Lo dimostra anche quel l'1 per cento di passaggi fra una magistratura e l'altra, a maggior ragione rafforzato dalla riforma Cartabia del 2022. Ma quello che volete, con questa impostazione, è separare le culture, le funzioni e le visioni del diritto. Volete due magistrature chiuse, impermeabili l'una all'altra.
C'è una bella, profonda considerazione, opportuna in questo senso, seppur arriva da contesti diversi, che fece Piero Calamandrei nel 1952, sposando l'idea di un modello ordinamentale unico nella sua diversità, ribadendo l'importanza della leale collaborazione, della fiducia tra le diverse parti della giurisdizione, quando dice: “nel processo giudice e avvocati sono come specchi; ciascuno, guardando in faccia l'interlocutore, riconosce e saluta, rispecchiata in lui, la propria dignità”.
È diversissimo ovviamente il modello di cui parliamo, ma è diversissima anche la concezione dello Stato, la concezione dei poteri dello Stato che va a modificare anche i principi, il senso dei principi dei padri e delle madri costituenti, che hanno impostato un equilibrato rapporto fra i poteri nel percorso costituzionale.
Questo è lo sforzo che dovremmo continuare a fare, che dovremmo continuare a perfezionare; voi state, invece, facendo l'esatto contrario: state andando a dividere gli attori della giurisdizione. E lo fate per ragioni ideologiche, in modo ideologico, perché pensate di punire in tal modo la magistratura. E l'ho detto: non era neanche necessario intervenire. La riforma Cartabia, appunto, aveva già stabilito barriere robuste tra le funzioni.
Chi sostiene che serviva un intervento costituzionale, non dice tutta la verità. Perché non si tratta di separare solo delle funzioni, ma il vostro intento è proprio quello di intervenire sull'identità stessa della magistratura. E, allora, la domanda è legittima: a chi giova tutto questo? Qual è lo scopo? Non giova certo ai cittadini. Perché queste riforme, queste misure non contengono un solo intervento che incida su quella che è l'aspettativa e la necessità dei cittadini, i tempi dei processi, l'organico. Lo ribadisco: questa mattina, oggi, in piazza c'erano i precari della giustizia ad evidenziare ancora una volta delle problematiche evidenti. Non incide sull'accesso alla giustizia, non incide sulla digitalizzazione degli uffici e del processo. Questo testo non interviene in alcun modo e non incide sul tema del sovraffollamento carcerario e sappiamo bene che elemento di tragicità rappresenta per il nostro Paese questo tema; sappiamo quanto siamo stati ripresi anche dagli organismi internazionali su questo tema. Ma il Governo è impegnato in tutt'altra operazione: riformare la Costituzione per piegare la giustizia ad una logica di potere. Non si era mai visto in epoca repubblicana un disegno di legge costituzionale che arriva in Parlamento così come è uscito dal Consiglio dei ministri: senza modifiche, senza apertura al dialogo e senza alcuna disponibilità ad un percorso condiviso. Nemmeno l'emendamento sulla parità di genere avete pensato di accettare, avete pensato di inserire. Che cosa avrebbe cambiato nel disegno complessivo?
Questo è grave, è molto grave perché una riforma costituzionale, per definizione, non può essere imposta esclusivamente a colpi di maggioranza. Deve essere costruita nella condivisione, nel rispetto delle reciproche posizioni, delle diverse visioni della responsabilità istituzionale.
Questa parola “responsabilità istituzionale” esprime una sostanza che manca, che è mancata in questi anni e che continua a mancare, soprattutto quando i rischi che questa riforma, che andate ad approvare, appunto, direttamente in solitudine, porta con sé sono gravissimi.
Intanto per il centro di questo percorso, ovvero il fatto di rendere radicalmente separate le carriere senza adeguati contrappesi, significa rendere il pubblico ministero più esposto alle pressioni esterne, più vulnerabile rispetto all'Esecutivo e meno libero di esercitare la funzione che gli deriva anche dalla Costituzione. Poi, il disegno dei Consigli superiori della magistratura, spezzettati, più deboli, permeabili e facilmente condizionabili, ancora di più se il meccanismo che avete previsto per formarlo è un meccanismo che non premia il merito, che non seleziona le competenze, non costruisce responsabilità, ma avviene attraverso il sorteggio.
Quindi, se viene meno la cultura del dubbio, la logica della prova, se si distrugge il legame tra chi accusa e chi giudica, non crediamo proprio che avremo una giustizia più giusta: avremo solo una giustizia più esposta, una giustizia più fragile, una giustizia più politicizzata.
Quindi, il Governo non interviene su quello che serve ai cittadini, ma preferisce la battaglia ideologica, il posizionamento della bandierina della separazione delle carriere, senza preoccuparsi, nei fatti, del ruolo del Parlamento, ma soprattutto delle reali esigenze dei cittadini e delle cittadine.