07/07/2014
Angelo Senaldi
Cenni, Berlinghieri, Bargero, Basso, Benamati, Bini, Cani, Civati, Donati, Folino, Galperti, Ginefra,Impegno, Mariano, Martella, Montroni, Peluffo, Petitti, Portas, Taranto, Tidei
1-00529

   La Camera, 
   premesso che: 
    la globalizzazione dei mercati ha provocato il venir meno delle barriere di carattere protezionistico ed ha alimentato il fenomeno dell'imitazione dei prodotti e dei marchi aziendali, i cui effetti negativi sono particolarmente preoccupanti per il made in Italy e per i distretti produttivi locali che ne costituiscono l'ossatura portante; 
    secondo elaborazioni dell'Organizzazione mondiale del commercio, il commercio di prodotti contraffatti e della pirateria corrisponde al 10 per cento degli scambi mondiali per un valore pari a 450 miliardi di dollari, mentre la stima più prudente della Commissione europea e dell'Organizzazione mondiale delle dogane attribuisce al fenomeno un peso pari al 7 per cento della merce scambiata a livello mondiale per un valore tra i 200 e i 300 miliardi di euro; 
    l'industria del falso arriva a questi risultati dopo un decennio di forte accelerazione con un fatturato che, secondo alcune stime, sarebbe aumentato del 1600 per cento e per queste ragioni non può essere considerata un fenomeno marginale; 
    il dato più preoccupante è il forte aumento della contraffazione di medicinali, l'Organizzazione mondiale della sanità stima che il 10 per cento dei medicamenti consumati nel mondo siano contraffatti, con punte del 30 per cento in Brasile e del 60 per cento in alcuni Stati africani; l'Europa non è immune dal fenomeno, gli uffici doganali dell'Unione europea stimano che circa il 10 per cento degli oggetti falsi bloccati alle frontiere siano medicinali; 
    per quanto riguarda il mercato alimentare, la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari made in Italy fa perdere all'Italia oltre 60 miliardi di euro di fatturato; l'agropirateria internazionale è arrivata a colpire i prodotti più rappresentativi dell'identità alimentare nazionale, con danni economici e di immagine insostenibili per l'agricoltura italiana; 
    il fenomeno dell’Italian sounding a livello mondiale ha un giro d'affari stimabile in circa 54-55 miliardi di euro (pari due volte il fatturato dell’export, che nel 2013 ammontava a 26.179 miliardi) ed è la principale causa di mancato guadagno per le aziende esportatrici italiane perché consente ad alcune aziende locali di avere un vantaggio competitivo immeritato, producendo a prezzi più bassi e collocando il prodotto su fasce di prezzo più alte grazie al richiamo all'Italia o all'italianità; 
    l'Estremo Oriente è indicato come la fonte principale delle contraffazioni, ma anche negli Stati Uniti la contraffazione è presente in misura massiccia, soprattutto nei settori della profumeria, degli articoli di lusso e delle componenti elettroniche; 
    in Europa i Paesi leader sono l'Italia, la Spagna, la Turchia, il Marocco e i Paesi dell'ex blocco sovietico; fra i Paesi europei un posto di particolare importanza è occupato anche da Belgio ed Olanda, attivi non solo come aree di transito dei prodotti contraffatti, ma anche come luoghi di confezionamento; 
    esiste nel nostro Paese una diffusa percezione di un attacco al made in Italy operato essenzialmente da Paesi extraeuropei; in realtà la geografia del fenomeno coinvolge anche importanti Paesi comunitari, tra cui l'Italia, prima nell'Europa dei Paesi avanzati per diffusione di fenomeni di illegalità e intreccio con la criminalità organizzata, del lavoro irregolare (12 per cento del totale occupati) e dell'evasione fiscale (17 per cento del prodotto interno lordo); 
    l'economia italiana è, quindi, sotto il duplice attacco dell'industria del falso internazionale ed interna, che in Italia, secondo la Guardia di finanza, ha un volume d'affari quantificato tra 4 e 7 miliardi di euro l'anno; il settore più esposto alla contraffazione è quello dei prodotti della moda (circa il 60 per cento del fenomeno), il resto riguarda giocattoli, prodotti enogastronomici, orologeria, componentistica, audiovisivi, software
    si stima che queste disfunzioni del sistema economico abbiano determinato una perdita di 40.000 posti di lavoro negli ultimi 10 anni, con un mancato introito fiscale, pari all'8 per cento del gettito irpef e al 21 per cento del gettito iva; 
    inchieste e studi sul fenomeno hanno permesso di identificare, in Italia, almeno due macro tipologie di imprese del falso: 
     a) le imprese marginali e destrutturate, nascoste negli scantinati, che sfruttano il lavoro e organizzano la produzione in modo illegale; 
     b) le imprese ben strutturate e radicate, che combinano un'attività regolare con una produzione di beni contraffatti. Spesso si tratta degli stessi subfornitori a cui è affidata la fabbricazione di prodotti di marca che realizzano quantità in eccedenza, non autorizzate, per poi venderle illegalmente; 
    gli effetti negativi dell'industria del falso sono, dunque, molteplici e interessano la sfera economica e sociale; la contraffazione provoca un danno economico per l'impresa legale che può essere misurato in termini di mancate vendite, perdita di immagine e di credibilità del marchio, spese legali per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, riduzione della redditività degli investimenti in ricerca, innovazione e marketing
    inoltre, i prodotti contraffatti e pirata sono fabbricati solitamente nel più completo disprezzo delle norme a tutela della salute e sicurezza, mettendo in questo modo in pericolo il consumatore; 
    la contraffazione danneggia anche il lavoratore, che spesso, quando inserito nelle imprese del falso, subisce una condizione lavorativa priva dei diritti e delle tutele previsti dalle leggi e dai contratti; la contraffazione è anche causa della perdita del posto di lavoro: secondo Indicam negli ultimi 10 anni sono 270 mila i posti di lavoro persi nel mondo, di cui 125 mila nell'Unione europea e 40 mila solo in Italia; 
    nel 2013, in Italia, sono stati oltre 130 milioni i prodotti contraffatti sequestrati recanti falsa indicazione d'origine o pericolosi per la salute, con una crescita superiore al 25 per cento rispetto al 2012, e sono state denunciate 9.445 persone, tra le quali 252 affiliate a organizzazioni criminali dedite alla produzione e rivendita di prodotti contraffatti; 
    i sequestri hanno riguardato tutte le tipologie di prodotti: dall'abbigliamento (quasi 22 milioni di pezzi) ai giocattoli (quasi 13 milioni), dall'elettronica (quasi 42 milioni) ai beni di consumo (53 milioni di pezzi), tra cui cosmetici, pezzi di ricambio per auto e prodotti per l'igiene; 
    nel 2013, la Guardia di finanza ha sequestrato e bloccato l'accesso a 84 piattaforme web illecite, utilizzate per il commercio di prodotti falsi o per consentire agli utenti il download illegale di software, giochi e prodotti multimediali, con una crescita del 60 per cento rispetto al 2012; 
    i nuclei antifrodi del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari hanno diffuso i dati relativi ai controlli effettuati nel 2013, che hanno portato al sequestro di oltre 3,3 milioni di unità di prodotti alimentari illegali o irregolari, pari a 9.700 mila tonnellate; 
    secondo le conclusioni della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, il settore alimentare è tra i business di punta delle mafie, con un volume d'affari delle agromafie che ammonta a circa 12,5 miliardi di euro, il 5,6 per cento dell'intero giro d'affari criminale in Italia; 
    è utile sottolineare, inoltre, che un consumatore su quattro, secondo Confcommercio, ha fatto negli ultimi 12 mesi un acquisto consapevole di merci contraffatte, mentre tra gli imprenditori 8 su 10 si ritengono danneggiati e 1 su 3 ritiene il fenomeno in crescita; 
    il Parlamento italiano, dal 2009 ad oggi, ha svolto una notevole attività legislativa e di indagine riguardo alla tutela delmade in Italy e alla lotta alla contraffazione: 
     a) con l'articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, si chiarisce che si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano, e si introduce una precisa regolamentazione dell'uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100 per cento made in Italy», «100 per cento Italia», «tutto italiano» o simili; 
     b) con l'articolo 15 della legge 23 luglio 2009, n. 99, sono state introdotte norme che mirano a rafforzare la tutela della proprietà industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale; 
     c) con la legge 8 aprile 2010, n. 55, sono state dettate disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani, prevedendo l'uso dell'indicazione made in Italy esclusivamente per i prodotti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano. Successivamente tale disciplina è stata congelata da una direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha precisato che tutte le disposizioni della legge 8 aprile 2010, n. 55, possono considerarsi applicabili solo successivamente all'esperimento della procedura di informazione comunitaria ai sensi della direttiva 98/34/CE e che tale legge non può considerarsi applicabile sino a quando non saranno adottate le necessarie norme attuative previste dall'articolo 2 della legge medesima; con riferimento all'attuazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, e alla proposta in sede di Unione europea del marchio di origine obbligatorio per i prodotti importati da Paesi extra Unione europea, la X Commissione della Camera dei deputati nella XVI legislatura ha approvato la risoluzione n. 8-00096, a conclusione del dibattito sulle risoluzioni nn. 7-00411, 7-00426 e 7-00430, che ha impegnato il Governo a dare piena attuazione alla legge 8 aprile 2010, n. 55, opponendosi alla minacciata procedura di infrazione e dando seguito ai previsti provvedimenti attuativi; 
     d) la legge 14 gennaio 2013, n. 8, ha, poi, dettato le nuove regole per la definizione, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia, ove si prevede che, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che comunque utilizzano la dicitura italiana dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia», l'etichetta debba indicare lo Stato di provenienza; 
     e) nella seduta del 22 gennaio 2013 la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, istituita durante la XVI legislatura, ha approvato un'imponente relazione conclusiva oltre, alla relazione sulla pirateria digitale in rete e ad altri documenti settoriali; 
     f) infine, il 26 giugno 2014, la Camera dei deputati ha istituito la Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo; 
    la vicenda della sospensione della disciplina dettata dalla legge n. 55 del 2010 si inquadra nello scontro aperto in Europa tra Paesi manifatturieri, che hanno tutto l'interesse ad affermare una tutela stretta del made in, seppure non in contrasto con le regole europee sulla competitività, e i Paesi «commercianti» che hanno l'interesse opposto; 
    tale scontro è dato dalla presentazione, il 16 dicembre 2005, di una proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea (COM(2005)661), relativa all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti industriali (come viti, bulloni, utensileria, tubi e rubinetterie, pneumatici, ceramica, tessili) importati da Paesi terzi, che non è mai stata discussa dal Consiglio; 
    il Parlamento europeo dal 2007 al 2013 ha, invece, adottato numerose dichiarazioni e risoluzioni per sollecitare la Commissione europea e il Consiglio ad attuare una politica di tutela dell'origine dei prodotti europei, ma il 16 aprile 2013 la Commissione europea ha ritirato la proposta di regolamento sull'obbligo di indicazione dell'origine per alcuni prodotti importati da Paesi extra Unione europea (cosiddetto made in), presentata nel dicembre 2005 su iniziativa italiana con l'obiettivo di rendere più trasparenti per i consumatori le informazioni sull'origine dei prodotti e assicurare parità di condizioni tra i produttori europei e quelli di Paesi terzi che già dispongono di una legislazione analoga; 
    il dibattito che ne è seguito ha consentito di recuperare terreno e il 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato con larghissima maggioranza (485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni) il pacchetto legislativo per la tutela dei consumatori europei da prodotti falsi e nocivi. La nuova disciplina, che sostituirebbe l'attuale sistema volontario, impone di apporre il made in sia ai prodotti non alimentari realizzati in Europa che a quelli extraeuropei, ma prima che l'obbligo diventi effettivo è necessaria l'approvazione del Consiglio dell'Unione europea; 
    l'etichetta made in sarà, quindi, obbligatoria per tutti i prodotti venduti nell'Unione europea, con alcune eccezioni come il cibo e i medicinali; secondo la proposta approvata, i produttori dell'Unione europea potranno scegliere se mettere sull'etichetta la dicitura «made in EU» oppure il nome del loro Paese. Per le merci prodotte fuori dall'Unione europea, il «Paese di origine» dovrà essere quello in cui il bene ha subito «l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata», che si sia conclusa con la «fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione» (come definito nel codice doganale dell'Unione europea); 
    la proposta è stata trasmessa al Consiglio per l'approvazione definitiva. In seguito all'adozione del Consiglio, la nuova normativa dovrebbe entrare in vigore nel 2015; è, quindi, molto importante che l'Italia vigili nel semestre di presidenza europea, affinché il Consiglio non blocchi nuovamente tale disciplina; 
    nel settore alimentare il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, che si applica dal 13 dicembre 2014, obbliga alla fornitura di informazioni sugli alimenti, con particolare riguardo alla tabella nutrizionale e all'indicazione d'origine solo per una parte degli alimenti; 
    ad eccezione delle regole che sono state fissate per alcuni settori e per le denominazioni di origine, per tutti gli altri prodotti si è preferito affermare un diverso principio, per cui l'indicazione obbligatoria è resa tale solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore circa l'effettiva provenienza del prodotto alimentare, così come delineato dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, confermato dal regolamento (UE) n. 1169/2011; 
    il Parlamento italiano ha approvato la legge 3 febbraio 2011, n. 4, sull'etichettatura dei prodotti alimentari con la finalità di difendere e promuovere il sistema produttivo italiano; è, tuttavia, complesso il coordinamento tra l'obbligo stabilito in Italia e le norme europee, che, invece, prevedono, al riguardo, principalmente regimi facoltativi; 
    l'indicazione d'origine dei prodotti può essere positivamente conseguita anche con la diffusione di tecnologie in grado di offrire la tracciabilità dell'intera filiera attestata da sistemi non seriali e non replicabili, al fine di consentire ai consumatori finali di conoscere la vera origine dei prodotti italiani, alimentari e non alimentari, e di ricevere un'adeguata informazione sulla qualità dei componenti e delle materie prime, nonché sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti finiti e intermedimade in Italy o interamente realizzati in Italia; 
    nella relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2014, il Governo italiano ha ricordato l'importanza che annette, ai fini della competitività del sistema industriale italiano, all'introduzione di un'indicazione di origine dei prodotti non alimentari. L'obbligatorietà di tale indicazione – contenuta all'articolo 7 della proposta di regolamento relativa alla sicurezza dei prodotti – non incontra, tuttavia, l'unanime accordo degli Stati membri; 
    nel programma della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, il Governo italiano ha assunto un impegno specifico sulla prevenzione della criminalità ambientale e della contraffazione dei prodotti alimentari e delle merci in generale; 
    in un momento di crisi profonda e perdurante come quella attuale, il danno prodotto dalla contraffazione, soprattutto per il settore manifatturiero, composto per la grande maggioranza da micro e piccole imprese, è ancora più schiacciante, poiché comporta una condizione di concorrenza sleale per le aziende dell'autentico made in Italy, che hanno deciso di continuare a produrre in Italia e che devono sopportare un pesantissimo gap competitivo,

impegna il Governo:

   nell'ambito del semestre della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea: 
    a) a monitorare l’iter del regolamento relativo al made in, approvato di recente dal Parlamento europeo, affinché il Consiglio dell'Unione europea proceda velocemente alla sua approvazione; 
    b) ad attivare una decisa negoziazione al fine di aggiornare l'insieme delle norme europee in materia agroalimentare, in particolare per l'accoglimento in sede europea dei principi della legge 3 febbraio 2011, n. 4, garantendone la piena attuazione in materia di etichettatura di origine a tutela dei consumatori e degli operatori della filiera; 
    c) a sviluppare una lotta più dura ai fenomeni di contraffazione in campo alimentare ed extralimentare, anche potenziando la rete dei sistemi di vigilanza e di repressione in ambito europeo sui confini e nel sistema dei porti e delle dogane; 
    d) a farsi promotore di una normativa organica e dettagliata che consenta agli Stati membri di dotarsi di misure più flessibili e rispettose delle tradizioni locali riguardo all'indicazione obbligatoria del Paese di origine, sia nel campo alimentare che in quello extralimentare; 
    e) a promuovere una rete di monitoraggio delle importazioni comunitarie ed extracomunitarie, al fine di garantire la piena attuazione dei divieti e delle relative sanzioni; 
    f) ad aumentare il contrasto alla contraffazione via internet e ad assumere iniziative per introdurre regole condivise nell'Unione europea, con particolare riferimento ai domini internet che fanno riferimento generico a particolari produzioni o marchi senza rispettare le regole sull'origine dei prodotti, né possedere i suddetti marchi; 
    g) ad adottare ogni ulteriore iniziativa volta a promuovere, in sede di Unione europea, il rispetto del termine del 13 dicembre 2014, imposto dal regolamento (UE) n. 1169/2011, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza, con riferimento al latte ed ai prodotti lattiero-caseari, alle carni suine fresche, refrigerate o congelate ed altre produzioni interessate dal suddetto regolamento; 
    h) a sostenere la diffusione di tecnologie in grado di offrire una tracciabilità certa dei prodotti, attestata da sistemi non seriali e non replicabili, al fine di consentire ai consumatori finali di conoscere la vera origine dei prodotti italiani, alimentari e non alimentari; 
    i) a prevedere assidue campagne informative tali da rafforzare la cultura della proprietà intellettuale, soprattutto presso le giovani generazioni, volte a indurre i consumatori a comportamenti virtuosi riguardo alla tematica dei prodotti contraffatti; 
    l) a rafforzare i presidi territoriali, applicando le migliori buone pratiche nella lotta alla contraffazione, prevedendo un coordinamento delle Forze dell'ordine ed un'adeguata formazione delle stesse. 

 

Seduta del 7 luglio 2013

Seduta del 10 luglio 2013