Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 3 Marzo, 2015
Nome: 
Chiara Scuvera

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Grazie, Presidente. Come ricordava anche l'onorevole Sberna, perché nel 1993 nascono gli studi di settore ? Per fornire al fisco uno strumento di contrasto all'evasione fiscale, e al contribuente uno strumento di autodotazione e di ausilio in fase dichiarativa. Il punto è che negli ultimi anni, rispetto al contribuente, tale funzione originaria non è assolta pienamente anche perché c’è stata una distorsione generata dall'imperversare della crisi economica rispetto a cui l'attuale configurazione dello strumento si è mostrata inadeguata soprattutto dal punto di vista della attendibilità tant’è che il Governo, come ci ha raccontato il Viceministro Casero, sta mettendo in campo e il MEF ha già messo in campo tutta una serie di correttivi proprio per recuperare tale funzione. Bisogna anche dire che nel tempo gli studi si sono anche troppo burocratizzati proprio per l'eccessivo numero di indicatori e il rigido automatismo costi e ricavi. E anche questo ne ha irrigidito e ne ha indebolito notevolmente l'attendibilità, mettendo a rischio la fondamentale funzione di compliance e un rapporto davvero friendly tra imprese e fisco e tra professionisti e fisco. Uno strumento può funzionare e può consolidarsi se, per i destinatari, ne è chiara l'utilità. Se lo strumento è di ausilio non solo in teoria ma anche in pratica e se non si traduce, come purtroppo è avvenuto, in un mezzo per accertamento diretto e in minimum tax. È un po’ quella differenza tra la teoria e la pratica rispetto a questo istituto di cui parlava l'onorevole Paglia. Quindi, uno strumento che sicuramente in teoria è nato come strumento di semplificazione (ed è tale funzione di semplificazione che bisogna recuperare) ma che, nella pratica, si è dimostrato piuttosto un meccanismo punitivo nei confronti delle imprese. Non a caso – infatti la Cassazione parla di presunzione semplice – l'Agenzia delle entrate con gli indirizzi operativi del 2014 ha valorizzato la funzione di selezione rispetto all'ulteriore attività di controllo. In generale poi, per affrontare lacompliance, la legge di stabilità 2015 ha introdotto norme che rafforzano i flussi informativi tra i contribuenti e l'Agenzia delle entrate e la modifica delle modalità dei termini e delle agevolazioni connesse all'istituto del ravvedimento operoso. Quando diciamo che per i professionisti e per le imprese deve essere di immediata comprensibilità e conoscenza la funzione degli studi ci riferiamo.... Perché ? Perché la parte statistico-economica può essere utile come base di conoscenza per elaborare delle strategie e delle politiche per il sistema delle imprese e di questo collegamento e di questa funzione le imprese devono avere una immediata percezione e percettibilità. Un sistema delle imprese che è cambiato – siamo nell'economia della conoscenza – ed è destinato a cambiare ancora e questo è assolutamente essenziale per costruire un rapporto di collaborazione e di fiducia tra Stato e mondo produttivo, non soltanto sul fisco, ma anche in generale sulle politiche economiche per innescare una nuova programmazione partecipata. Ricordiamo che, prima dell'entrata in vigore, gli studi sono verificati da una commissione di esperti formata da rappresentanti dell'Agenzia delle entrate e del Ministero dell'economia e delle finanze, della Guardia di finanza, dell'ANCI e delle organizzazioni di categoria che quindi sono coinvolti in questa elaborazione. 

Abbiamo detto – e non lo ripetiamo ancora – qual è loro definizione di strumento di compliance, quindi secondo noi l'aggiornamento e la semplificazione notevole, quindi la riduzione del numero di voci, deve servire anche a rendere più flessibile e adeguare proprio alle caratteristiche dell'impresa – davvero alle caratteristiche dell'impresa e uscire proprio da questa standardizzazione, che porta a un automatismo tra costi e ricavi – consentendo al professionista e all'impresa di raccontarsi davvero. E come Partito Democratico chiaramente ci stanno particolarmente a cuore le fragilità che si manifestano nel mondo dei giovani professionisti, delle micro e piccole imprese. Il nuovo regime dei minimi, disegnato dalla legge di stabilità, è un regime che, abbiamo detto più volte, va corretto. Abbiamo cominciato a farlo con il «decreto milleproroghe», ma pensiamo che vada valutata con attenzione anche l'istanza che ci viene dai giovani professionisti – sabato c’è stato il forum di Alta partecipazione –, quindi di stabilire uno start up anche di ingresso nel nuovo regime dei minimi e naturalmente anche di elevare quella soglia dei 20 mila euro (30 mila per quanto riguarda le professioni intellettuali). Quindi, è sicuramente un regime che richiederà degli aggiustamenti ma che, essendo regime naturale, ha consentito l'esenzione dagli studi ad una platea molto più vasta rispetto a quanto avveniva con il vecchio regime dei minimi. Bisognerà poi lavorare – e per questo è anche importante tornare su quel regime forfettario – affinché le piccolissime partite IVA, come quelle di 12 mila euro – sempre secondo quanto stimato dai giovani professionisti –, abbiano convenienza ad aderire a questo regime forfettario, soprattutto anche quando aderiscono all'analitico e siano esenti dagli studi, perché se no il paradosso è che giovanissimi e piccolissime partite IVA sono assoggettate agli studi nonostante appunto minori dimensioni rispetto ad altri soggetti. Quindi, secondo noi c’è da procedere ad una reale revisione, proprio per rafforzare la logica collaborativa tra Stato e contribuente. Più che puntare sulla sospensione o sulla demagogia fiscale – ricordava qualcuno il sistema delle quote latte –, che danneggiano la finanza pubblica e danneggiano di conseguenza anche il sistema delle imprese, bisogna lavorare per lo Stato innovatore. E lavorare per lo Stato innovatore ed innovare significa partire dalle piccole cose, rendere più semplice la vita delle imprese e sostenere la loro competitività. Grazie, Presidente. Tutto ciò senza privarle di strumenti, che, come ricordava anche l'onorevole Paglia, possono essere utili e fare equità. Quindi, pensiamo che fare innovazione significhi promuovere un nuovo patto fiscale, che è quello che abbiamo fatto con la delega fiscale, significhi agevolare gli investimenti, come si sta facendo con l’investment compact, e soprattutto finanziare anche la ricerca, per entrare davvero in una nuova economia della conoscenza. Quindi, gli studi debbono essere anche adeguati rispetto a quella che è una nuova economia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).