Discussione generale
Data: 
Martedì, 14 Ottobre, 2025
Nome: 
Stefania Marino

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Grazie, Presidente, buongiorno. Buongiorno al Governo e grazie al Sottosegretario per essere in Aula. Illustre Presidente, colleghe e colleghi, oggi discutiamo di un tema che, forse più degli altri, ci obbliga a guardare lontano. Parliamo di agricoltura, ma in realtà parliamo del futuro dell'Europa, del lavoro, della sostenibilità e della dignità di chi ogni giorno tiene viva la nostra terra.

L'agricoltura non è un capitolo tecnico del bilancio europeo: è la storia stessa del nostro continente, la base della sicurezza alimentare, la custode dei nostri paesaggi, delle nostre tradizioni e delle nostre identità. Per questo la discussione di oggi sulla politica agricola comune 2028-2034 non è un tema soltanto per addetti ai lavori, ma è una scelta politica che riguarda tutti e riguarda la direzione che vogliamo dare alla nostra Europa nei prossimi 10 anni.

Quando parliamo di PAC, parliamo della prima grande politica europea davvero comune. Dopo la devastazione della Seconda guerra mondiale, per ripristinare il tessuto sociale ed economico, i sei Paesi fondatori dell'allora Comunità europea avviarono colloqui per un approccio comune all'agricoltura. Negli anni la PAC è cambiata: è passata da un sistema centrato sui volumi produttivi a un modello basato sulla qualità, sulla sostenibilità e sull'innovazione. Presidente, oggi la PAC non è solo una politica agricola: è una politica ambientale, sociale e territoriale. È una politica che parla di clima, di biodiversità, di innovazione tecnologica, di giovani, di donne, di aree rurali e tuttavia, nonostante tutto questo, oggi siamo di fronte a un rischio reale, ossia quello di indebolire una delle politiche più riuscite dell'Unione europea.

Per capire dove vogliamo andare, partiamo da dove siamo. La PAC attuale, quella che va dal 2023 al 2027, ha introdotto elementi positivi. L'Italia dispone di circa 37 miliardi di euro tra fondi europei e nazionali. Sono stati introdotti cinque ecosistemi nazionali, con oltre 4 miliardi di euro, che premiano gli agricoltori che adottano le pratiche più sostenibili. È nato un nuovo modello di gestione, il cosiddetto new delivery model, che sposta l'attenzione dai vincoli di spesa ai risultati concreti. È stato rafforzato il sistema AKIS, ossia quello che mette in rete ricerca, consulenza e imprese agricole per diffondere innovazione e conoscenza. Ci sono risultati tangibili. Nel 2024 ha già erogato oltre 8 miliardi di euro di contributi, dimostrando che il sistema, pur tra mille difficoltà, funziona.

Ci sono però anche problemi. La burocrazia resta un ostacolo enorme soprattutto per le imprese più piccole, i bandi arrivano tardi, i pagamenti si accumulano e spesso le aziende non riescono a programmare con serenità il proprio lavoro. Gli strumenti di gestione del rischio (assicurazioni e fondi mutualistici) sono ancora troppo deboli. E poi c'è la questione climatica: eventi estremi sempre più frequenti, costi crescenti e incertezze che mettono in difficoltà interi comparti produttivi.

Infine, una cosa che dobbiamo dirci con onestà è che la PAC, come è oggi, non riduce abbastanza le disuguaglianze tra i territori e non tiene conto che ogni territorio ha le sue peculiarità e che col cambiamento climatico queste peculiarità, signor Presidente, sono ancora più peggiorate.

In questo contesto arriva la proposta della Commissione europea per la nuova PAC: una proposta che, se non verrà modificata, rischia di segnare un passo indietro storico. Uno dei punti critici è la creazione di un Fondo unico di partenariato, un contenitore nel quale verrebbero accorpate più politiche, compresa la PAC, cancellando la distinzione tra i due pilastri: il primo è quello dei pagamenti diretti e il secondo è dedicato allo sviluppo rurale. In teoria si tratterebbe di semplificare, in pratica invece, Presidente, si rischia di diluire la PAC dentro un grande Fondo dove l'agricoltura perde la sua identità, la sua forza e la sua visibilità politica.

Poi c'è il tema delle risorse. Le cifre proposte parlano chiaro: un taglio di circa 86 miliardi di euro sul bilancio agricolo europeo. Sono tante risorse, Presidente. Per l'Italia significherebbe una riduzione di circa il 20 per cento delle risorse disponibili. Significa meno sostegno alle imprese, meno strumenti per la competitività, meno risorse per innovazione, formazione e giovani agricoltori. Significa che, in un momento in cui la transizione ecologica richiede più investimenti, si propone di tagliare proprio i fondi che servono a realizzarla. Inoltre, le nuove regole - come il tetto di 100.000 euro per azienda, la degressività dei pagamenti o l'esclusione dei pensionati dal 2032 - sembrano più disegnate per fare cassa che per risolvere i veri problemi del settore. La maggiore flessibilità promessa agli Stati membri rischia di trasformarsi in frammentazione: 27 politiche agricole diverse, 27 visioni differenti e quindi 27 velocità diverse. È una riforma, quindi, assai dannosa.

Colleghe e colleghi, diciamolo chiaramente: questa non è una semplice revisione contabile della PAC, è una scelta politica che mette in discussione la stessa idea di politica agricola comune. Se la PAC perde la sua centralità, l'Europa diventa più debole, diventa più dipendente dalle importazioni, più esposta alle crisi alimentari globali e meno capace di sostenere i propri produttori. Allora, chiediamoci: in un mondo che cambia così rapidamente, dove la sicurezza alimentare torna a essere una priorità geopolitica, possiamo davvero permetterci una PAC più povera e meno comune? La risposta per noi è “no”. “No” a una PAC depotenziata, “no” a un'Europa che si disimpegna dal suo ruolo di garante della produzione agricola, “no” a una politica che lascia indietro chi lavora la terra e presidia i nostri territori.

Con questa mozione il Partito Democratico chiede quindi al Governo una posizione chiara, forte e coerente. Chiediamo di opporsi a ogni tentativo di ridurre il bilancio agricolo europeo e di superare la struttura storica a due pilastri. Ma non basta dire “no”. Serve ancora proporre: proporre una PAC più semplice, che riduca gli oneri burocratici; una PAC più giusta, che sostenga davvero chi produce valore e non solo chi possiede ettari; una PAC più verde, ma anche più equa, perché la sostenibilità non può essere scaricata solo sulle spalle degli agricoltori che già soffrono tutte le questioni che anche i colleghi hanno tenuto presente; una PAC resiliente che contribuisca allo sviluppo dei territori rurali ed in particolare quelli interni e montani.

Serve un lavoro serio per migliorare gli strumenti assicurativi, per rafforzare i fondi di mutualità, per sostenere la ricerca e la digitalizzazione. Serve una politica che aiuti i giovani ad avviare nuove imprese, che valorizzi le donne in agricoltura, che promuova filiere corte e prodotti di qualità. E serve un metodo: quello del dialogo con le regioni, con le organizzazioni agricole, con i consorzi e con chi vive ogni giorno la realtà dei campi. E qui permettetemi un passaggio politico, perché questa discussione non può essere neutra. In questi mesi, mentre a Bruxelles si discuteva del futuro della PAC, l'Italia è rimasta in silenzio. Non c'è stato un documento programmatico chiaro, non c'è stata una strategia, non si è vista una leadership. Il Governo parla di sovranità alimentare, ma la sovranità si esercita nei fatti, non negli slogan, si esercita nei tavoli europei quando si difendono con competenza e autorevolezza gli interessi del proprio Paese. Invece, finora abbiamo visto troppi annunci e poche proposte. Non basta dire “difenderemo gli agricoltori italiani”, bisogna farlo, Presidente. Per farlo serve costruire alleanze, serve conoscere i dossier e serve avere visione. Noi vogliamo un'Italia che sia realmente protagonista in Europa, non a parole, non negli slogan, ma nei fatti; un'Italia che costruisca ponti con altri Paesi - Francia, Spagna, Grecia, Portogallo ma anche Irlanda, Polonia e Slovenia - per difendere insieme l'idea di una PAC forte, comune e solidale.

Vogliamo un'Europa che non si rassegni al declino, ma che investa sull'agricoltura come leva del futuro, perché la PAC non è solo politica economica, ma è una politica di pace. Lo era nel dopoguerra, quando nacque per garantire che mai più la fame dividesse i popoli europei, e lo è ancora oggi in un mondo instabile dove l'autonomia alimentare è parte della sicurezza strategica. Difendere la PAC non significa comunque restare fermi riproponendo vecchi modelli, significa migliorarla, renderla più moderna, più inclusiva e più efficace. Dobbiamo costruire una PAC che premia chi innova, chi produce rispettando l'ambiente, chi crea lavoro e valore sociale; una PAC che non lasci indietro nessuno, perché ogni ettaro abbandonato è un pezzo d'Italia che si spegne. Colleghe e colleghi, mi avvio a concludere. Difendere la PAC significa difendere l'idea stessa dell'Europa, un'Europa che non lascia soli i suoi cittadini, che crede nel valore del lavoro, che investe nelle persone e nella terra. La PAC non è un costo, è un investimento.