“Il diritto di voto è universale, lo dice la Costituzione. Ma oggi, in Italia, non lo è davvero. Perché tante persone con disabilità motorie o sensoriali non possono esercitarlo liberamente e in autonomia, senza ostacoli. È un’ingiustizia che dura da troppo tempo. Per questo ho presentato una proposta di legge che introduce il voto elettronico da remoto per tutte le consultazioni elettorali”.
Lo dichiara Marco Furfaro, capogruppo in Commissione Affari Sociali del Pd e componente della segheria nazionale, durante la presentazione della PdL con Massimo Vita (Uici), Daniele Renda (Disability Pride) e Umberto Emberti Gialloreti (presidente della Consulta Regionale del Lazio per la Tutela dei Diritti della Persona con Problemi di Disabilità).
“È una legge di civiltà che mette fine a un’ipocrisia: dire che tutti possono votare, quando sappiamo che non è così. Con questo provvedimento restituiamo dignità e partecipazione a chi oggi è escluso. Faccio un appello a tutte le forze politiche affinché, almeno questa volta, ci sia unità: la democrazia è vera solo se è di tutte e tutti”.
“Mollicone si arrampica sugli specchi e butta la palla in tribuna tentando di derubricare la protesta dei professori d’orchestra del Teatro La Fenice ad una semplice polemica politica. Ma qui non c’entrano né circoli, né tessere di partito: c’è solo la consapevolezza che, ancora una volta, il Ministero della Cultura procede con nomine funzionali all’occupazione delle poltrone, senza rispetto per l’autonomia delle istituzioni culturali. È sorprendente infatti che si arrivi a imporre una scelta di natura prettamente artistica: non parliamo del sovrintendente, figura chiamata anche a dialogare con il territorio e con le istituzioni e quindi a esercitare capacità di tipo politico, ma del direttore musicale. Un fatto che ha giustamente suscitato indignazione nell’orchestra di una delle più celebri istituzioni lirico musicali internazionali.
È un dato di fatto che al Ministero della Cultura si sia passati da nomine frutto di procedure internazionali – il caso di Eike Schmidt nominato agli Uffizi dal ministro Franceschini e poi candidato Sindaco per Fdi lo conferma, e Mollicone dovrebbe ben ricordarlo – a nomine dettate da simpatie personali e appartenenze di partito”.
Così una nota dei deputati democratici della commissione Cultura della Camera.
“Con le sue parole il Presidente Sergio Mattarella riconosce il valore umanitario preziosissimo della Global Sumud Flotilla e, con una narrazione totalmente diversa da quella del Governo, rinnova il suo sconcerto per le atroci sofferenze a cui è sottoposta la popolazione di Gaza, invitando gli attivisti a valutare seriamente la disponibilità del Patriarcato Latino di Gerusalemme.
Reputiamo queste parole molto importanti, perché riconoscono il valore di una missione della società civile, nella sua piena autonomia, con la quale ci siamo messi e continuiamo a metterci a disposizione, che ha l'obiettivo di aprire un canale umanitario nel solco di una legalità internazionale violata dal Governo di Israele con il blocco navale. Come abbiamo avuto già modo di dire, auspichiamo in tal senso che il dialogo tra i cardinali Zuppi e Pizzaballa e i coordinatori della Global Sumud Flotilla continui proficuamente, certi che sia per tutti gli interlocutori cruciale innanzitutto alleviare la sofferenza inimmaginabile della popolazione di Gaza” così una nota dei democratici Arturo Scotto e Annalisa Corrado imbarcati sulla flotilla.
“Gli attacchi strumentali di Fratelli d’Italia al relatore Gianassi e al Presidente della Giunta delle autorizzazioni sono gravi e inaccettabili. Confermano la volontà della maggioranza di trasformare in scontro politico ciò che è, e deve restare, un procedimento tecnico-giuridico.
Il Tribunale dei ministri e la Corte penale internazionale hanno già espresso con chiarezza la gravità delle azioni compiute dal governo nel caso Almasri. La Giunta non fa altro che consentire alla giustizia di fare il proprio corso, mentre la maggioranza cerca di impedirlo, invocando una sorta di ‘giustizia à la carte’ piegata agli interessi dell’esecutivo. Siamo di fronte a un tentativo di delegittimazione personale e istituzionale che non solo mina il corretto funzionamento della Giunta, ma rivela l’obiettivo politico perseguito da questa destra: ridurre l’autonomia della magistratura e subordinare il potere giudiziario al potere esecutivo, come dimostrano i contenuti della riforma costituzionale in discussione. Inutile dire che in tutto questo, il Parlamento è ormai considerato poco più di un passacarte, alla faccia della centralità di cui parlava al momento del suo insediamento, la Premier” cosi la deputata dem Debora Serracchiani Responsabile Giustizia del Pd in merito al caso Almasri che riguarda i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano.
“La riforma costituzionale sulla separazione delle carriere sta avanzando in Parlamento con un metodo che esclude ogni confronto e si fonda solo sulla forza dei numeri della maggioranza. È un approccio sbagliato e pericoloso, perché invece di risolvere i veri problemi della giustizia, a partire da processi troppo lunghi e risorse insufficienti, lancia un attacco all’equilibrio tra i poteri dello Stato.
Quello che si sta costruendo non è un sistema giudiziario più efficiente, ma un impianto che riduce le garanzie dei cittadini e limita l’autonomia della magistratura. La Costituzione non può essere piegata a logiche di parte: il rispetto dell’indipendenza della giustizia è un presidio fondamentale della nostra democrazia. Per questo il Partito Democratico continuerà a opporsi con determinazione a una riforma che non modernizza il sistema, ma lo rende più fragile.”
Così Federico Gianassi, capogruppo Pd in commissione Giustizia della Camera.
Il Governo Meloni preferisce andare a fare i comizi elettorali piuttosto che mettere la faccia in Parlamento su una riforma devastante per l'assetto istituzionale che abbiamo ereditato dai nostri Padri costituenti. È una riforma del tutto inutile rispetto ai mali della giustizia italiana, lo ha ammesso persino il Ministro Nordio che in un momento di sincerità ha riconosciuto che questa riforma è del tutto irrilevante riguardo all'efficientamento del sistema della giustizia. Ogni giorno, nei tribunali italiani assistiamo al collasso della giustizia italiana. Ieri manifestavano 12.000 precari in un comparto così fragile, nel quale le risorse del PNRR sono a rischio, come dimostra l'urgenza con la quale il governo ha adottato un decreto legge un mese fa. Le udienze del giudice di pace sono rinviate anche al 2032. Di fronte a queste situazioni così gravi, il governo lascia che il sistema affondi, che cittadini e imprese siano abbandonati a loro stessi mentre porta avanti l’approvazione di una riforma ideologica e punitiva, esattamente come fa destra laddove governa e attacca gli organi di garanzia e di indipendenza e le opposizioni politiche. Un provvedimento scritto male, strampalato, con mille criticità, che voi stessi avete riconosciuto, ma che non avete avuto il coraggio di correggere. Ma non finisce qui. Al referendum chiederemo agli italiani se preferiscono la Costituzione scritta da Piero Calamandrei o se vogliono invece quella scritta da Carlo Nordio. Noi difendiamo, con grande decisione e convinzione, quella voluta e scritta da Piero Calamandrei.”
Così il deputato Federico Gianassi, capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera.
E’ inaccettabile che una riforma della Costituzione che riguarda le regole e i principi che tengono insieme l'intera società e la convivenza civile nel nostro Paese venga fatta senza il minimo coinvolgimento delle opposizioni e per una mera spartizione tra forze di maggioranza. È la prima volta che una riforma costituzionale, così come esce dal Consiglio dei ministri, uscirà molto probabilmente dal Parlamento. Questa riforma non inciderà sui veri problemi della giustizia a partire dalla durata dei processi. Peraltro, se fosse stata vostra intenzione migliorare davvero la giustizia, non avreste tagliato 500 milioni di euro nelle scorse manovre fino al 2027 e vogliamo vedere che cosa farete con la prossima manovra. Noi voteremo convintamente contro, perché non è la riforma per la separazione delle carriere, ma è semplicemente una riforma per mettere il bavaglio alla magistratura, della quale non accettate l'indipendenza e l'autonomia.
Così la vicepresidente del gruppo del Pd alla Camera, Simona Bonafè.
“Con la riforma che separa le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti il Governo Meloni non affronta i veri problemi della giustizia, ma indebolisce l’autonomia della magistratura e concentra ancora più potere nell’esecutivo.”
Lo dichiara in Aula il deputato Silvio Lai, annunciando il voto contrario del PD alla riforma.
“Non c’è nulla sui temi reali che i cittadini attendono: processi troppo lunghi, giustizia amministrativa lenta, incertezza del diritto, carceri al collasso. Non c’è un rigo sulle altre critiche al sistema: abusi delle intercettazioni, spettacolarizzazione dei processi o porte girevoli tra politica e magistratura. Al contrario – sottolinea Lai – la maggioranza, rallentando e riducendo i finanziamenti, sceglie di alimentare la crisi del sistema per dire che non funziona e giustificare così una riforma che ha come unico obiettivo intimidire la magistratura e ridurne l’autorevolezza. Si muovono sulla magistratura come si muovono su insicurezza e immigrazione, generando dubbi e paure nei cittadini con i loro stessi interventi”.
Secondo Lai, la riforma “smonta l’unitarietà del Consiglio Superiore della Magistratura, organo costituzionale presieduto dal Presidente della Repubblica che rappresenta anche l’unità del Paese, per sostituirlo con due CSM più deboli e autoreferenziali, ridotti alla sola autogestione disciplinare”.
“E non dite la verità – aggiunge – la separazione delle funzioni già esiste con la riforma Cartabia del 2022, perché un magistrato può effettuare un solo passaggio da requirente a giudicante o viceversa. Non c’è dunque alcun bisogno di stravolgere la Costituzione. Con questa riforma non si risolvono i problemi ma si minano i contrappesi democratici, cancellando di fatto la tripartizione dei poteri”. Per Lai, “La giustizia non può diventare terreno di propaganda o vendetta personale. Deve restare presidio dei diritti e garanzia per i cittadini. Per questo dico no a una riforma ideologica, incoerente persino con la storia di chi oggi la difende, sbagliata nel merito e pericolosa nel metodo”.
“Come Pd siamo fortemente contrari alla riforma della Giustizia sulla separazione delle carriere perché è una riforma pericolosa che si accanisce sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Tra la Costituzione scritta da Calamandrei e la proposta di Nordio e Delmastro Delle Vedove non abbiamo dubbi: difendiamo la Costituzione italiana”. Così il deputato Federico Gianassi, capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera.
“La scelta di presentare una candidata come “detta del Marcheschi” sembra cancellare con un tratto anni di battaglie per l’autodeterminazione delle donne. Non si tratta solo di parole: è il segnale che in troppi faticano a riconoscere le donne come soggetti politici autonomi, titolari di voce e identità proprie.” Lo dichiara la deputata Pd Michela Di Biase commentando la notizia di una candidata alle regionali in Toscana che ha scelto di entrare in lista con l’alias “detta del Marcheschi”, riferito al senatore e collega di partito Paolo Marcheschi (Fdi).
“Non è solo una questione di genere grammaticale, ma di cultura politica. Lavorare in squadra è una cosa: significa cooperazione, rispetto, pari dignità. L’appartenenza, invece, richiama l’idea di possesso, di dipendenza, di un ruolo definito da qualcun altro. E questa – sottolinea la deputata - è un’idea che pensavamo di aver superato da tempo”.
“Chi oggi usa certe espressioni dovrebbe riflettere: le parole contano, perché raccontano come vediamo i rapporti di potere e di genere nella nostra società” conclude Di Biase.
"Ma quando Giorgia Meloni dice che in politica estera ha rimesso l’Italia al posto che le spetta, a cosa si riferisce esattamente? Ai ripetuti silenzi, su ogni scenario di crisi, in attesa di capire gli umori di Trump? All’inerzia e all’ignavia sul Medio Oriente, dove non ha fatto nulla, nulla, per fermare il suo amico Netanyahu, il macellaio di Gaza? Altri paesi stanno prendendo il nostro posto nel dialogo con il mondo arabo. Meloni, forse per non sentire gli strali di Vannacci, non ha avuto nemmeno il coraggio in Parlamento di difendere la scelta grave e sbagliata di impegnarsi alla NATO per spendere il 5% in spese militari. Ma forse rivendica il 15 a zero sui dazi Usa? Quando voleva fare la pontiera con Trump e invece ha contribuito alla resa dell’Europa, tanto il prezzo della sua amicizia politica lo pagheranno le imprese e i lavoratori. La Premier confonde il protagonismo diplomatico dell’Italia con il suo personale. La diplomazia non sono le cene di gala, è strategia, autonomia, coraggio di compiere scelte nei momenti più difficili. L’Italia ne è stata maestra per un lungo periodo. Giorgia Meloni, schiacciata su Trump, ha dilapidato una lunga tradizione che aveva fatto del nostro paese un protagonista assoluto nella costruzione di pace nel Mediterraneo". Così in una nota Peppe Provenzano, deputato, responsabile Esteri del Partito democratico.
“L’ipotesi di un addio di Sigfrido Ranucci alla Rai rappresenterebbe uno scempio e l’ennesima ferita al servizio pubblico. Se anche un professionista con il suo profilo, il suo rigore giornalistico e il suo radicamento nella tradizione di inchiesta di Report dovesse lasciare l’azienda, si sancirebbe in maniera definitiva la difficoltà del servizio pubblico a garantire autonomia, pluralismo e qualità dell’informazione.
Ci auguriamo che queste siano solo indiscrezioni di stampa e speriamo che non sia vero e che non accada una cosa del genere, altrimenti davvero sarebbe il segno più devastante che si vuole smontare completamente il servizio pubblico e di fatto si vuole privatizzare la Rai. Se così fosse sarebbe un disastro di ascolti e di share”. Così in una nota i componenti PD della Commissione di Vigilanza Rai.
“Le parole della Presidente Meloni sul Sud sono ancora una volta improntati ad una propaganda del tutto fuori luogo. I dati Istat non possono essere usati in maniera strumentale per giustificare e camuffare una realtà complessiva molto diversa purtroppo. Questo Governo si è rivelato finora nemico del Mezzogiorno. Anzitutto ha tagliato risorse fondamentali: 3,7 miliardi tolti al fondo perequativo infrastrutturale, oltre 1 miliardo sottratto al credito d'imposta della Zes Unica e relativa cancellazione del dimezzamento IRES per le nuove attività economiche, 5,3 miliardi venuti meno con la cancellazione di “Decontribuzione Sud”. Alla lista, che sarebbe ancora più lunga, aggiungiamo i ritardi drammatici nella spesa degli interventi PNRR, in settori strategici come infrastrutture, sanità, lavoro, istruzione, agricoltura, destinati in particolare al Sud. Senza considerare le numerose crisi industriali che non ricevono risposta e l'impoverimento reale delle famiglie per l'aumento drammatico del costo della vita e la riduzione costante dei salari reali. Altro che fine dell’assistenzialismo, il Governo sta mettendo fine al futuro del Mezzogiorno”. Lo dichiara Piero De Luca della presidenza del gruppo Pd alla Camera.
“D’altronde, l’antimeridionalismo è uno dei caratteri distintivi del programma di questo Governo e la Riforma sull’autonomia differenziata ne è la testimonianza più viva.
Questo progetto puntava a dividere e spaccare letteralmente in due l'Italia, cristallizzando per legge diseguaglianze e disparità oggi esistenti, violando il principio di unità, solidarietà e coesione nazionale, fondamento essenziale della nostra Costituzione.
Il Sud non ha bisogno di slogan su dati pur incoraggianti, che non riflettono però la reale condizione di vita nel Mezzogiorno – aggiunge De Luca – ma di un'attenzione concreta e di interventi strutturali seri per ridurre i divari e garantire pari opportunità a tutti i cittadini Non accettiamo narrazioni di comodo: il Mezzogiorno merita verità, non propaganda”.
“Quanto sta emergendo intorno a Cinecittà impone una riflessione seria e severa da parte del governo: Giuli faccia immediatamente chiarezza. Non è più tempo di scaricare responsabilità su governi passati o di piegare a propaganda politica le criticità legate al tax credit su cui in più occasioni abbiamo chiesto una riflessione sul necessario rafforzamento delle modalità di controllo da parte Mic” così in una nota il democratico Matteo Orfini componente della Commissione e cultura della Camera.
“Se venissero confermate le notizie diffuse dagli organi di stampa - prosegue Orfini - ci troveremmo di fronte non a semplici errori di gestione, ma a pratiche che esulano dalle regole e dai principi di trasparenza.
Cinecittà rappresenta il cuore pulsante dell’industria cinematografica e audiovisiva italiana e non può permettersi vertici che, direttamente o indirettamente, abbiano abusato del proprio ruolo. È indispensabile fare piena luce, senza reticenze né protezioni di parte. Ci auguriamo che cessino subito le lotte interne alla maggioranza, che hanno trasformato un settore strategico in terreno di scontro politico. L’industria cinematografica italiana ha bisogno di stabilità, autonomia e una visione industriale seria, non di strumentalizzazioni ciniche e campagne di occupazione. Serve un cambio di passo immediato, nell’interesse esclusivo del Paese e della cultura italiana: Giuli e Borgonzoni ne prendano atto”, conclude Orfini commentando le notizie stampa relative a una indagine della Procura di Roma sul ruolo e le modalità di finanziamento della società di produzione cinematografica che fa capo all’amministratrice delegata di Cinecittà.
“Il ministero del Lavoro è ultimo in Italia per capacità di spesa delle risorse del Pnrr: appena l’11%. Un dato vergognoso, che dovrebbe spingere la ministra Calderone a chiedere scusa, invece di inviare il sottosegretario Durigon raccontare in commissione Lavoro alla Camera che ‘va tutto bene’. Il vero fallimento del governo Meloni è sulle politiche economiche e sociali: cresce il lavoro povero, cresce la povertà, viene negato il salario minimo e resta drammatica l’insicurezza nei luoghi di lavoro. Questa volta le risorse per cambiare davvero ci sarebbero, ma la destra non ha mai creduto nel Pnrr: perché il Pnrr è coesione sociale, mentre Meloni vuole l’autonomia differenziata; il Pnrr è transizione ecologica, mentre la destra continua a negare la crisi climatica. La verità è semplice: con l’11% di spesa da parte del ministero del Lavoro, la destra ha scelto di non investire sul futuro del Paese”.
Così i deputati democratici della commissione Lavoro, Marco Sarracino, Arturo Scotto, Emiliano Fossi, Chiara Gribaudo, Mario Laus.