“Siamo di fronte a un vero e proprio terremoto per il vino e per tutto il comparto agroalimentare italiano. I dazi statunitensi rischiano di portare fuori mercato molte delle nostre eccellenze e il governo Meloni, invece di giocare la partita, ha scelto di restare in panchina”. Lo dichiara il deputato Stefano Vaccari, componente della commissione Agricoltura e capogruppo Pd in commissione Ecoreati.
“Il tentativo della premier di presentarsi come mediatrice – aggiunge l’esponente dem - è fallito ancor prima di iniziare. I danni stimati, come ricorda anche Federvini, si aggirano attorno ai 460 milioni di euro tra mancate vendite e ricadute lungo tutta la filiera. Parliamo di un aumento del 148% del prezzo finale delle bottiglie italiane negli Stati Uniti, a causa dei dazi e dei rincari di distributori e importatori. Una batosta che rischia di escludere il nostro vino da un mercato strategico. Le conseguenze saranno pesanti anche per l’occupazione, e il miliardo annunciato dal governo per il settore agroalimentare si rivela oggi del tutto insufficiente, non solo per affrontare questa crisi, ma anche per rispondere ai problemi strutturali dell’agricoltura italiana”.
“Il Partito Democratico – conclude Vaccari - chiede di superare la gestione emergenziale. Servono misure strategiche: contrasto ai cambiamenti climatici, sostegno alla domanda interna, apertura di nuovi mercati, ricambio generazionale. Il governo deve smettere di rincorrere le crisi e iniziare finalmente a costruire il futuro del comparto agroalimentare italiano”.
“Come dimostra l’Istat l’Italia non ha ancora recuperato il 9 per cento valore reale dei salari rispetto al 2021. In quasi tre anni il Governo Meloni non ha mosso un dito per migliorare la situazione, compreso un no pregiudiziale al salario minimo. Di fronte alla novità dei dazi ribadiamo la necessità di uno scudo sui salari e dunque la necessità di un sostegno vero alla domanda interna. Non è possibile che ancora quasi sei milioni di lavoratori siano in attesa del contratto”.
Così il capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto.
Di fronte ai dati Istat che certificano il calo del pil dello 0,1% rispetto al trimestre, diventa ancora più urgente che siano chiare le misure che il governo intende mettere in campo. Prima ancora che i dazi entrino in vigore, l’economia italiana arranca perché non c’è visione, né una strategia solida di sviluppo come il Pd chiede da tempo. Manca una politica industriale seria e non si protegge abbastanza il lavoro con i salari più bassi della media europea.
Se non vuole ascoltare le parole delle opposizioni, Meloni risponda almeno ad imprenditori come Marcegaglia che oggi parla di colpo per le imprese che ora vanno aiutate.
Non si tratta di ristori, ma di risorse importanti per evitare una recessione e la perdita di posti di lavoro.
Così in una nota Chiara Braga, Capogruppo Pd alla Camera dei Deputati.
“Trump ha un’ottima lobbista in Europa che si chiama Giorgia Meloni” così sui social la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani che, in un video, ricorda come gli impegni presi da Meloni nella sua visita di aprile a Trump coincidano con l’accordo siglato Usa-Ue sui dazi, dall’aumento degli acquisti di gas liquido dagli Stati Uniti, alle coproduzioni di armamenti, al riparo dalla digital tax per le big-tech americane. “Giorgia Meloni – dice Serracchiani - può rivendicare un vero risultato nei 1000 giorni di Governo: aver fatto da perfetta lobbista per il suo amico Donald Trump. Peccato che, nel frattempo, non abbia rappresentato gli interessi dell’Italia. Dietro le foto sorridenti e le visite istituzionali dal tono trionfalistico, la realtà è ben diversa: né l’Italia né l’Europa stanno ricavando benefici concreti da questa strategia. Anzi, l’ultimo accordo sui dazi del 15% colpisce direttamente il Made in Italy, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro e interi settori della nostra economia. L’Italia non ha bisogno di passerelle internazionali senza contenuti, ma di una visione strategica, di una politica estera seria, credibile, capace di rafforzare il nostro ruolo in Europa e nel mondo. Perché se la Premier si dichiara sovranista ma poi non difende davvero gli interessi del Paese, a pagarne il prezzo saranno — ancora una volta — imprese, lavoratori e tutti i cittadini italiani.
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Come sempre la Fondazione Gimbe ci offre un’analisi seria e indipendente sullo stato di attuazione del Pnrr nel comparto della sanità e i dati non sono per nulla confortanti. Ne viene fuori la fotografa della realtà e non il racconto della stessa, e la necessità di una maggior sinergia tra i livelli istituzionali. Chiediamo che si attivi immediatamente una collaborazione stretta tra Governo e Regioni per non sprecare l’opportunità che i fondi del Pnrr ci hanno dato. Si abbini l’adeguamento di risorse per il futuro, investendo in personale e tecnologia per non vanificarne l’impiego. In gioco c’è la tenuta del servizio sanitario nazionale e il principio di universalità della cura. Un impegno che va assunto dalla politica tutta, come auspica Gimbe, ma che deve necessariamente partire dal Governo. Noi non faremo mancare il nostro apporto di proposte concrete e costruttive.
Così Gian Antonio Girelli, deputato Pd della Commissione Affari Sociali della Camera.
“Il nuovo report della Fondazione GIMBE fotografa una realtà allarmante: la Missione Salute del PNRR è ferma, l’82% delle risorse non è stato ancora speso e 5 obiettivi su 14 sono in ritardo. Un quadro impietoso che conferma l’ennesimo fallimento nella gestione del Piano, dove al rispetto formale delle scadenze evidentemente non corrisponde alcun reale avanzamento degli investimenti.
Purtroppo non si tratta di una sorpresa, ma dell’eredità diretta di una gestione fallimentare prima con Fitto e oggi aggravata da un approccio ancora più inefficace da parte di Foti. A pagarne il prezzo sono i cittadini, soprattutto nelle Regioni più fragili, dove crescono disuguaglianze e ritardi. Il tempo è quasi scaduto, e chi ha responsabilità politiche non può più continuare a nascondersi dietro formalismi o silenzi istituzionali” – così il capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Affari europei della Camera, Piero De Luca.
“Siccome ormai è chiaro che i dazi al 15% non sono affatto un affare — o meglio, lo sono solo per Trump — da Fratelli d’Italia si cerca disperatamente un colpevole. E così Montaruli punta il dito contro la segretaria del Pd, Elly Schlein, nel tentativo goffo di scaricare le responsabilità di un disastro tutto del governo Meloni.
Se non ci fosse da piangere per le condizioni in cui i sovranisti italiani hanno accettato tutto senza fiatare, ci sarebbe da ridere. Ma purtroppo le conseguenze le pagano imprese, lavoratori e il Made in Italy.
Invece di cercare capri espiatori, il governo dovrebbe iniziare a dare risposte concrete con misure di sostegno per evitare crisi drammatiche. FDI ha cercato in tutti i modi di far credere che Trump avesse una sola interlocutrice europea: Giorgia Meloni. Ebbene, Trump ha tirato dritto per la sua strada, ignorandola completamente.
Altro che difesa degli interessi nazionali: siamo di fronte a una resa senza condizioni.”
Così Valentina Ghio, vice capogruppo del Partito Democratico alla Camera, replica alle dichiarazioni di Augusta Montaruli.
“La firma dell’accordo commerciale tra Unione Europea e Trump rappresenta un colpo durissimo al comparto dell’automotive europeo e italiano. È una vera e propria capitolazione che rischia di compromettere stabilimenti, posti di lavoro e filiere fondamentali per la nostra economia industriale”.
Lo dichiara l’on. Alberto Pandolfo, capogruppo PD in Commissione Attività produttive alla Camera, intervenuto ieri sera alla Festa dell’Unità di La Spezia insieme al responsabile nazionale delle politiche industriali del PD, Andrea Orlando, dove è stata fortemente criticata l’intesa sui dazi tra Bruxelles e Washington.
“È davvero inspiegabile – ha proseguito Pandolfo – come l’Unione Europea possa accettare una sottomissione così evidente alla logica protezionista di Trump, svendendo interessi strategici del nostro continente. In questo accordo ci rimettiamo tutti, ma l’Italia è tra i Paesi più esposti: basti pensare alla centralità della nostra filiera automotive, con migliaia di imprese e lavoratori che oggi si trovano davanti a uno scenario di incertezza drammatica.”
“Altro che accordo sostenibile – conclude Pandolfo – come stanno tentando di raccontare, arrampicandosi sugli specchi, Meloni, Salvini e Tajani. Siamo di fronte a una resa, non a una strategia. Il Partito Democratico continuerà a battersi per difendere l’industria italiana, la sua filiera e un’Europa forte anche nelle sue scelte economiche.”
"I nuovi dazi americani al 15 per cento rappresentano un duro colpo per l’export italiano e uno degli aspetti maggiormente preoccupanti e’ l’impatto energetico". E’ quanto dichiara Marco Simiani, capogruppo Pd in Commissione Ambiente di Montecitorio.
"L’Unione Europea si è infatti impegnata ad acquistare 750 miliardi di dollari di energia dagli Stati Uniti entro il 2028, soprattutto gas naturale liquefatto e combustibili fossili. Questo non solo aumenta la nostra dipendenza energetica da paesi terzi, ma mette a rischio gli obiettivi di decarbonizzazione e autonomia strategica dell’Europa. Nel 2024, l’Italia ha infatti già importato oltre 10 miliardi di metri cubi di GNL statunitense, con un costo in crescita del 18 per cento annuo. Impegni aggiuntivi di lungo termine ridurranno lo spazio per le fonti rinnovabili e per gli investimenti nelle infrastrutture verdi. Il governo italiano esce sconfitto da questo accordo: occorre ora massima trasparenza, tutela per le imprese colpite dai dazi, e una strategia energetica europea fondata su rinnovabili, innovazione e sicurezza nazionale": conclude Simiani.
“I dazi sono il frutto avvelenato della cultura sovranista.
Una tassa che costerà molto caro all’economia globale e come spesso è capitato nella storia a pagare il conto finale saranno i soggetti più deboli: le lavoratrici e i lavoratori.
Ancora una volta l’esaltazione identitaria dei nazionalismi produce guerre commerciali e alimenta un clima di tensioni e egoismi pericolosi e sterili.
Di fronte a rivoluzioni globali come quella digitale e i cambiamenti globali in atto ci sarebbero stato bisogno dell’esatto contrario: uno sforzo comune per salvare il pianeta e garantire una maggiore giustizia sociale.
Quando l’economia entrerà in recessione sapremo chi ringraziare a cominciare da quelli che salutavano entusiasticamente il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump e ancora in queste ore hanno il coraggio di difendere questa scellerata politica dei dazi”.
Lo scrive in una nota Federico Fornaro, dell’ufficio di presidenza del PD alla Camera
“La capitolazione sui dazi di Trump ci dice che c’è bisogno di risposte eccezionali a situazioni eccezionali. Gli effetti, come dicono tutte le organizzazioni economiche e sociali, di questo compromesso rischiano di pagarlo i più deboli, con conseguenze ancora non calcolabili sulle nostre imprese e sull’occupazione. La Meloni ha una responsabilità enorme nell’aver contribuito a costruire un accordo al ribasso. Serve immediatamente uno scudo occupazionale e salariale. L’Italia si salva solo se scommette su un sostegno reale alla domanda interna: rinnovare i contratti, introdurre il salario minimo, estensione degli ammortizzatori sociali, difesa dello stato sociale”.
Così il capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto.
Un accordo a spese dell’Europa. Con dazi al 15% l’Ue esce sconfitta. Una sudditanza alle pretese e alla prepotenza di Trump che pagheranno i cittadini europei, le nostre aziende, i nostri lavoratori. Voleva colpire un modello fatto di equilibrio e regole. Ci è riuscito con la complicità di chi come Meloni non è stato ponte e non ha mai creduto nella forza del nostro continente.
Così in una nota Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera dei Deputati
"Il settore agroalimentare italiano, uno dei pilastri della nostra economia e della nostra identità, viene messo in ginocchio da un accordo che favorisce la concorrenza sleale e premia le imitazioni. Altro che protezione del Made in Italy: il governo sembra piuttosto lavorare per promuovere le patacche, quei prodotti che si travestono da italiani — il cosiddetto Italian sounding, dal parmesan alla mozzarella finta — ma che con la qualità e la filiera italiana non hanno nulla a che vedere.
Il danno economico e d'immagine è enorme. Se Meloni e Lollobrigida volevano a parole difendere il Made in Italy, con la loro inerzia il risultato è l’esatto opposto: l’accordo con gli Stati Uniti apre la strada a chi copia e declassa le nostre eccellenze.
Serve un cambio di rotta immediato e una chiara indicazione delle misure compensative che il governo intende mettere in campo." Così in una nota Antonella Forattini, capogruppo Pd in Commissione Agricoltura alla Camera.
“Il ministro Giorgetti lo aveva detto chiaramente: dazi oltre il 10% sarebbero stati insostenibili per l’economia italiana. Ora quella soglia è stata superata. Il governo non può più far finta di nulla.
Serve trasparenza: Meloni e Giorgetti vengano subito in Parlamento a spiegare come intendono salvaguardare i conti pubblici. Il rischio di una manovra correttiva non è più un’ipotesi remota, ma un tema concreto che riguarda famiglie, imprese e stabilità economica.
Continuare a tacere o minimizzare sarebbe irresponsabile. Davanti a un impatto potenzialmente devastante per il nostro sistema produttivo, servono verità e risposte immediate” così il vicepresidente della commissione attività produttive della Camera, Vinicio Peluffo.
“L’accordo commerciale annunciato con dazi al 15% danneggia gravemente il nostro Made in Italy, colpendo in particolare settori di punta come la moda, da sempre motore del nostro export e simbolo di eccellenza nel mondo. A rendere il quadro ancora più preoccupante è il contesto valutario: la recente svalutazione del dollaro, unita all’apprezzamento dell’euro, sta già penalizzando la competitività delle imprese italiane. E lo scenario potrebbe peggiorare ulteriormente: le dichiarazioni di Donald Trump sulla volontà di politicizzare la Federal Reserve, mettendola sotto diretto controllo politico, aprono a una fase di fortissima instabilità sul fronte valutario e finanziario. In un contesto così fragile, l’Italia non può restare ferma, Meloni e Giorgetti devono chiarire subito quali contromisure metterà in campo per sterilizzare gli effetti negativi di questo accordo” Così la vicepresidente del gruppo del Pd alla Camera, Simona Bonafè.