“La dinamica economica del Paese sta rallentando e la produzione industriale nel 2024 è diminuita del 3,5 per cento rispetto all’anno precedente. La manovra del governo Meloni non contiene misure per la crescita: la politica industriale di questo esecutivo è pari a zero”. Così il deputato dem Vinicio Peluffo, vicepresidente della commissione Attività produttive.
“Programmi come Transizione 5.0 – evidenzia l’esponente dem - si sono rivelati un flop totale, mentre intere filiere strategiche, automotive, moda, tessile, acciaio, chimica di base, sono in crisi. Servono interventi mirati e politiche industriali coerenti con quelle europee, a partire da un fondo per accompagnare la doppia transizione ecologica e digitale e un fondo specifico per l’automotive, tagliato del 75 per cento nell’ultima legge di bilancio. In Italia i costi energetici sono tra i più alti d’Europa. Occorre intervenire subito sul meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità, sganciandolo dal gas e investendo di più sulle rinnovabili, anche semplificando le procedure e incentivando i contratti a lungo termine. Solo così si potrà abbassare la bolletta e restituire competitività alle imprese”.
“Infine – conclude Peluffo – i dazi imposti dagli Stati Uniti rischiano di colpire duramente il nostro export, uno dei motori dell’economia italiana. Mentre altri Paesi europei hanno già agito, il governo Meloni è rimasto fermo e in testa indossa sempre il cappellino ‘Make America Great Again’ e fa gli interessi di Trump, non quelli del nostro Paese”.
“Le dichiarazioni rilasciate oggi dal ministro Carlo Nordio al Corriere della Sera confermano, in modo sempre più esplicito, la volontà di politicizzare la giustizia e di ridimensionare l’autonomia della magistratura. Dalle parole del ministro emerge chiaramente un disegno che punta a indebolire il ruolo della magistratura, “spuntandole le unghie”, per consentire al potere politico di agire senza il necessario equilibrio dei controlli. Non solo: Nordio arriva persino a teorizzare le modalità di questa trasformazione, sostenendo che una giustizia piegata alla politica possa essere utile oggi a una parte e domani all’altra.
Si tratta di una concezione grave e inaccettabile, che tradisce lo spirito della Costituzione e mina i principi fondamentali della separazione dei poteri. La giustizia non è e non deve mai diventare uno strumento nelle mani della politica. Difendere la sua indipendenza significa difendere le garanzie dei cittadini che con questa riforma, come ci spiega il ministro, non saranno più eguali davanti alla legge.” così la responsabile giustizia del Pd, la deputata democratica Debora Serracchiani.
“Nel settore della moda, uno dei pilastri del made in Italy con 100 miliardi di fatturato, 80mila PMI e 600mila lavoratori, il governo Meloni continua a non intervenire. In legge di bilancio non c’è traccia di misure concrete per difendere e sostenere una filiera che oggi soffre l’impatto dei dazi e di una crisi che mette a rischio competenze e occupazione. L’unico risultato ottenuto finora dal ministro Urso è stato il rebranding del suo dicastero: ha cambiato nome al ministero, ma non si sta occupando davvero di made in Italy”. Così Simona Bonafè, vicepresidente vicaria del gruppo Pd alla Camera.
“La legge di bilancio – prosegue l’esponente dem – contiene misure generiche e del tutto insufficienti. Nessun intervento specifico per la moda, per il tessile-abbigliamento o per l’agroalimentare, che sono i cuori pulsanti del nostro sistema produttivo. In una recente interrogazione, ho chiesto al ministero lo stato di attuazione delle insufficienti risorse annunciate per il 2025 e perché ancora non ci siano fondi per la cassa integrazione necessaria a salvaguardare professionalità e saper fare artigiano che rischiamo di perdere per sempre”.
“Sul credito d’imposta – conclude Bonafè – poi è successa una cosa vergognosa: lo Stato prima ha incentivato le piccole e medie imprese a investire nell’innovazione e poi, retroattivamente, ha chiesto di restituire i contributi. Un colpo mortale per migliaia di aziende già in difficoltà”.
“I fatti resi noti dalle indagini sul mondo della moda e la risposta sbagliata che il governo sta dando per fermare il problema dello sfruttamento del lavoro in questo settore sono qualcosa di altamente allarmante. Non va certo criminalizzato il comparto della moda, ma al contrario va salvaguardata tutta la filiera, dalle grandi ditte eccellenze mondiali alle più piccole aziende, contro questi fenomeni conclamati. Esiste una catena di forniture, appalti e subappalti, che porta in molte situazioni allo sfruttamento e al caporalato”. Lo dichiara la deputata e responsabile Lavoro del Pd, Maria Cecilia Guerra chiedendo un'informativa urgente del ministro Urso alla Camera.
“Tutte le aziende committenti – sottolinea l'esponente dem - sono chiamate a una responsabilità in solido nei confronti di quei lavoratori sfruttati che si sono rivolti alla giustizia e che devono ottenere rimborsi. Anche i committenti hanno la responsabilità di controllo della loro filiera e non si possono nascondere dietro il principio della buona fede davanti a fenomeni che sono troppo lapalissiani: se un capo viene venduto ad una cifra esorbitante e nella catena di fornitura è stato pagato ad una cifra irrisoria è impossibile che il lavoro sia stato retribuito in base alle norme contrattuali standard”. “La scappatoia che il governo ha appena fatto approvare col suo parere favorevole dal Senato di ottenere delle certificazioni che mettano in salvo le aziende rispetto alle loro responsabilità non può essere applicata al settore della moda, né tanto meno, in quei settori dove questi fenomeni di sfruttamento e caporalato si stanno ripetendo come nella logistica”, conclude Guerra.
“Il Partito Democratico voterà a favore di questo provvedimento, perché è importante per rafforzare la partecipazione dell’Italia ai fondi multilaterali e quindi alla cooperazione internazionale. Tuttavia – afferma Lia Quartapelle, deputata Pd e vicepresidente della commissione Esteri – è difficile non notare il tono trionfalistico della maggioranza, a fronte di un ritardo evidente con cui il governo porta in Aula una ratifica essenziale, a pochi giorni dalla fine dell’anno”.
“Viviamo in un tempo in cui la cooperazione e la solidarietà globale non sono più di moda – sottolinea l’esponente dem – ma questo provvedimento dimostra che l’Italia crede ancora nel multilateralismo. Anche se questa maggioranza va a braccetto con Donald Trump che è il primo a voler disfare gli organismi multilaterali che noi giustamente con questo provvedimento invece andiamo a rafforzare. Purtroppo però, come troppo spesso accade con il governo Meloni, anche in questo caso si arrivi tardi e con argomentazioni superficiali. Colpisce, ad esempio, che il governo dica no a un ordine del giorno, presentato dal collega Mauro, che chiedeva semplicemente di destinare i fondi della Banca africana per lo sviluppo alle finalità del piano Mattei”.
“Il governo – conclude Quartapelle – parla di visione e di gloria, ma dimostra trascuratezza e poca attenzione al dialogo parlamentare. Servirebbe meno propaganda e più concretezza: il piano Mattei non può essere solo un titolo, ma deve diventare una vera politica estera condivisa, fondata sulla cooperazione e sulla credibilità internazionale dell’Italia”.
“Il Governo Meloni per la crisi strutturale del settore moda, nonostante le promesse, ha fatto poco e male. Lo svolgimento delle mie interrogazioni sul tema svolta alla Camera certifica impietosamente questa situazione”. Lo dichiara la vicepresidente dei deputati Dem Simona Bonafè in replica ad una interrogazione alla Camera.
“Gli incentivi annunciati dal Ministro Urso alle imprese vengono erogati con ritardo: sono oltre due anni che il comparto è in sofferenza e nel frattempo migliaia di imprese hanno chiuso o dichiarato fallimento. Manca poi una seria ed efficace politica industriale capace di rilanciare la filiera, a partire dalla riduzione dei costi energetici, e manca ancora il rinnovo annunciato della cassa integrazione per il comparto che rischia, oltre a penalizzare migliaia di lavoratori, di disperdere un patrimonio formidabile di competenze e professionalità alla base di uno dei pilastri del Made in Italy. Rimane poi aperta - prosegue Bonafè- l’annosa questione degli incentivi concessi e poi richiesti, in maniera retroattiva, alle Pmi. Un problema gravissimo che penalizza imprese che avevano investito in ricerca ed innovazione e che il Ministero del Made In Italy non solo non vuole risolvere ma che nemmeno conosce nel dettaglio; dal momento che non è stato in grado di fornire al Parlamento quante imprese sono coinvolte. La crisi della Moda non si può risolvere con questa superficialità”, conclude Simona Bonafè.
“Le dichiarazioni del presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, contro la trasmissione Report e il suo conduttore Sigfrido Ranucci, rappresentano un ulteriore episodio grave e preoccupante. Parlare di “giornalismo militante” e invocare “un intervento della Rai” dopo la messa in onda di un’inchiesta giornalistica costituisce una forma evidente di ingerenza e pressione politica su un servizio pubblico che deve restare autonomo, libero e indipendente da qualsiasi condizionamento del potere. Invece di confrontarsi nel merito dei fatti riportati — che riguardano la gestione dei fondi pubblici da parte di esponenti di FdI e le modalità di nomine nel settore culturale — Mollicone sceglie di attaccare chi fa informazione, tentando di delegittimare il lavoro dei giornalisti. Un atteggiamento che stride con le parole di solidarietà espresse appena pochi giorni fa da Giovanni Donzelli e dalla stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni nei confronti di Ranucci e della libertà di stampa. Ci chiediamo: quelle dichiarazioni valgono ancora, o oggi condividono la posizione di Mollicone?
La libertà di stampa e il diritto dei cittadini a essere informati non possono essere messi in discussione ogni volta che un servizio televisivo tocca nervi scoperti del potere politico. Il servizio pubblico non deve essere compiacente verso il governo di turno, ma deve rispondere unicamente al mandato costituzionale di garantire pluralismo, trasparenza e informazione indipendente” così una nota del capogruppo del Pd nella commissione di vigilanza Rai, Stefano Graziano.
“La decisione della Corte dei Conti di deferire la delibera Cipess per una valutazione di merito sulla sua conformità al quadro normativo di riferimento, oltre che ai principi eurounitari, conferma tutte le nostre le perplessità. Per la Corte vi sono criticità rispetto alle sostanziali modificazioni intervenute rispetto alle modalità di finanziamento e dubbi sulle continue modifiche intervenute al progetto. Insomma, il Ponte e Salvini sono in un vicolo cieco. Ma al buio resta anche il futuro delle infrastrutture del Paese, visto che per drenare risorse per il Ponte nella legge di bilancio sono state definanziate tutte le altre opere fondamentali per gli interessi dei cittadini italiani”.
Così il capogruppo Pd in commissione Trasporti alla Camera e segretario del Pd Sicilia, Anthony Barbagallo.
“Dietro il nome rassicurante di Filiera della Moda certificata, il governo introduce una norma preoccupante: svincola le imprese committenti, cioè i grandi brand, dalle responsabilità lungo la filiera produttiva, scaricandole tutte sulle PMI. Sono proprio le piccole e medie imprese il cuore del Made in Italy, quelle che producono la qualità su cui si fondano le grandi firme” così la vicepresidente del gruppo parlamentare del Pd alla Camera, Simona Bonafè, il capogruppo dem in commissione attività produttive, Alberto Pandolfo e il democratico Andrea Gnassi che annunciano la presentazione di un emendamento per cancellare la norma voluta dal governo non appena il provvedimento arriverà alla camera.
“Quella che viene presentata come una semplificazione rischia infatti di colpire chi rispetta regole, contratti e standard di qualità del lavoro. Le aziende corrette si troveranno a competere con chi potrà aggirare più facilmente le norme, generando concorrenza sleale e indebolendo la parte più sana del settore.
La moda italiana non ha bisogno di scorciatoie. Servono regole chiare, responsabilità condivise e strumenti che valorizzino chi produce nel rispetto delle persone e del territorio, ma con Urso non c’è verso: sembra un Re Mida al contrario, qualsiasi cosa tocchi la trasforma in qualcosa di negativo”, concludono i dem.
“I sovranismi nazionali di cui siete tanto orgogliosi hanno avuto la responsabilità politica di non aver fatto valere il peso di un’Europa coesa e determinata nel difendere i propri interessi. Il risultato è che i dazi colpiscono in modo rilevante le esportazioni europee e italiane incidendo sul Pil e sull'occupazione, con il nostro Paese, la seconda manifattura europea, tra i più esposti”.
Così il vicepresidente della commissione Attività produttive alla Camera, Vinicio Peluffo, intervenendo in Aula sulle comunicazioni della presidente Meloni.
“Avevate detto - ha aggiunto - che una volta arrivati al governo sareste andati a Bruxelles a battere i pugni sul tavolo per fare gli interessi degli italiani. Allora fate una cosa utile. Chiedete un piano di investimenti orientato a rafforzare la politica industriale dell'unione europea. Chiedete la creazione di una governance industriale europea rafforzata. Chiedete la promozione di una strategia europea di commercio internazionale che combini l'apertura verso nuovi mercati con la protezione delle filiere strategiche e un supporto concreto alle imprese esposte e poi, se ci riuscite, fate anche qualcosa qui in Italia, visto che sulle politiche industriali non avete fatto niente su automotive, chimica di base, acciaio, moda e tessile. L'elenco delle emergenze alle quali non date risposte diventa sempre più lungo, ma le imprese e i lavoratori italiani non possono più aspettare”.
"L'aumento dell'età pensionabile è il modo più facile per ottenere la sostenibilità del sistema pensionistico. Facilissimo: si aumenta il periodo che si deve passare al lavoro, lasciando fermo quello che si passa in pensione. Questa modalità, progettata da Maroni e messa a regime da Berlusconi, non può essere una soluzione per sempre, non è socialmente sostenibile, specie in Italia, che ha la più alta età pensionabile di tutta Europa. È da gennaio che come Pd chiediamo che si discuta, anche nel confronto con i sindacati, una soluzione strutturale. Il governo ha passato questo tempo ad alimentare la speranza di un congelamento dei tre mesi di aumento, per arrivare a ipotizzare una pezza al problema, pasticciata, a due giorni dalla legge di bilancio. Una finta soluzione che penalizza i soggetti più fragili, tra cui caregiver, invalidi civili, disoccupati e donne con problematiche familiari". Lo dichiara la deputata e responsabile Lavoro del Pd, Maria Cecilia Guerra in replica al ministro Giorgetti durante il Question Time alla Camera.
"La manovra ha l'esito di sconfessare il proclama numero uno del governo Meloni: il superamento della legge Fornero. Il governo ha fatto al contrario, restringendo così tanto la possibilità di uscita anticipata - ape sociale, opzione donna e persino quota 103 - da renderne quasi irrilevante la totale soppressione. In definitiva l'unica cosa che è andata in pensione anticipata con l'azione di questo esecutivo sono le sue mendaci promesse", conclude Guerra.
“È surreale e vergognoso ciò che sta accadendo. Mentre a Prato il procuratore Tescaroli, insieme a Regione Toscana, Asl, forze di polizia, istituzioni e associazioni firma un protocollo per proteggere i lavoratori sfruttati e combattere il caporalato, Fratelli d’Italia approva un emendamento che fa l’esatto contrario: certifica per legge lo sfruttamento. Con l’emendamento Amidei-Ancorotti, il committente nel settore moda potrà liberarsi da ogni responsabilità rispetto agli appalti e ai subappalti. In pratica, potrai vendere un vestito a 500 euro anche se chi lo ha cucito è stato pagato due euro e mezzo l’ora, senza che nessuno possa più controllare. È un colpo di mano indegno che cancella anni di battaglie contro il lavoro nero e il caporalato, e che toglie ogni tutela ai lavoratori, italiani e stranieri.
La Toscana combatte lo sfruttamento, la destra lo promuove. È questa la differenza tra chi crede nella dignità del lavoro e chi difende solo i profitti di pochi. Il governo Meloni si assuma la responsabilità di questa vergogna e ritiri subito quella norma.
“Siamo davanti a un colpo di mano che indebolisce la lotta allo sfruttamento del lavoro. Con l’emendamento dei senatori di FdI, Amidei e Ancorotti, al Ddl 1484 l’azienda committente nel settore della moda può farsi certificare la regolarità della filiera che attiva con le sue commesse, liberandosi così da ogni responsabilità rispetto al comportamento di appaltatori e subappaltatori. In sostanza, puoi vendere le scarpe a 500 euro mentre l’azienda a cui hai appaltato il lavoro paga gli operai due euro e mezzo, ma nessuno potrà controllarti: la parola del soggetto certificatore toglie la parola al controllo di legalità. Viene spazzata via la responsabilità sociale e civile del committente. Un passo indietro voluto da una destra che non ha interesse né a tutelare la qualità del lavoro, né a preservare le imprese che non scelgono la strada della concorrenza sleale”.
Così la deputata Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Pd, e Arturo Scotto, capogruppo Dem in commissione Lavoro alla Camera.
“L’inchiesta aperta sulla Tod’s pone un problema molto semplice: quale responsabilità deve essere mantenuta in capo all’azienda committente rispetto ad una filiera di appalti e subappalti entro cui si possono sviluppare problemi di caporalato e altre forme di illegalità?
Certamente ci sono, e li abbiamo visti ad esempio nel campo della moda, casi eclatanti, portati alla ribalta dai tribunali, di filiere in cui il committente vende sul mercato prodotti di lusso a prezzi elevati, ma paga al suo appaltatore prezzi talmente bassi che si possono sostenere solo con lo sfruttamento dei lavoratori e fenomeni di illegalità come il caporalato. Difficile pensare che il committente non ne sia consapevole.
Al di là delle responsabilità nel caso specifico, su cui si pronuncerà la magistratura, troviamo quindi singolare che chi dirige una grande azienda non capisca che quello che accade lungo la filiera degli appalti riguarda innanzitutto il sistema di controllo della committenza. E dunque la sua responsabilità sociale nell’impresa. Per queste ragioni continuiamo a opporci a qualsiasi colpo di spugna che possa arrivare dal governo. La via non è quella, che sembra invocata dal ministro Urso, di aggirare il lavoro della magistratura deresponsabilizzando l’impresa, ma al contrario quella di rendere effettivi i modelli organizzativi e gestionali perché alla fine della catena non ci siano lavoratori schiavizzati, illegalità e rischi per la sicurezza”. Lo dichiarano in una nota congiunta Maria Cecilia Guerra, deputata e responsabile nazionale Lavoro del PD e Arturo Scotto capogruppo PD in commissione Lavoro della Camera.
“L’entrata in vigore dell’Accordo di sicurezza sociale tra Italia e Moldova rappresenta un risultato importante e atteso da molti cittadini. E' finalmente possibile presentare le domande di pensione in base a un quadro chiaro e condiviso tra i due Paesi, garantendo così la tutela dei diritti previdenziali maturati sia in Italia che in Moldova.”Lo dichiara l’On. Nicola Carè, deputato eletto nella Circoscrizione Estero - Ripartizione Europa ed ex responsabile delle Camere di Commercio Italiane all’Estero. Per i residenti in Italia, le domande devono essere inviate esclusivamente in modalità telematica all’INPS. Per i residenti in Moldova, invece, la procedura passa attraverso la Casa Națională de Asigurări Sociale (CNAS), che provvederà a trasmettere le istanze al Polo INPS di Bari, struttura competente per la gestione delle pratiche. “Questo accordo è il frutto di una collaborazione bilaterale che rafforza i legami tra Italia e Moldova e risponde in modo concreto alle esigenze delle nostre comunità. È un segnale di attenzione verso i lavoratori che hanno contribuito allo sviluppo di entrambi i Paesi e che meritano di vedere riconosciuti i propri diritti previdenziali in tempi certi e con procedure chiare”, prosegue Carè. “Continueremo a lavorare per garantire che gli accordi internazionali in materia previdenziale siano applicati in modo efficace e che nessun cittadino resti indietro”, conclude.