09/10/2025
Chiara Braga, Riccardo Ricciardi, Luana Zanella, Elena Boschi
6-00204

La Camera,

premesso che:

il DPFP 2025, il primo redatto dal Governo a seguito della Riforma della Governance europea, illustra l'andamento dei dati macroeconomici e di finanza pubblica del Paese, evidenziando la totale mancanza di una visione di politica economica a distanza di tre anni dall'insediamento dell'esecutivo. Se i dati programmatici di finanza pubblica mostrano il sostanziale rispetto degli obiettivi della spesa netta fissati nel PSBMT, frutto di tagli in svariati ambiti della spesa pubblica e del forte innalzamento della pressione fiscale, quelli macroeconomici evidenziano la grave situazione in cui versa il Paese in conseguenza dell'immobilismo dell'esecutivo e della totale inefficacia delle politiche economiche, fiscali ed industriali finora adottate;

l'economia italiana, dopo il calo del prodotto interno lordo di 0,1 punti percentuali del secondo trimestre del corrente anno, dovrebbe crescere di soli 0,5 punti percentuali su base annua, ad un ritmo al di sotto delle previsioni di crescita stimate dal Governo nel PSBMT di settembre 2024 e del DFP di aprile 2025. Senza l'apporto determinante del PNRR il Paese sarebbe in una situazione di recessione. Per gli anni 2026 e 2027, il DPFP stima una crescita tendenziale di soli 0,7 punti percentuali e di 0,8 punti percentuali nel 2028, attestandosi per tutto il periodo su valori ben al di sotto della media europea. La crescita programmatica non si discosta dal tendenziale nel 2026, mentre per i successivi anni 2027 e 2028 il Governo prevede un debole scostamento di 0,1 punti percentuali, confermando anche per il futuro lo scarso apporto alla crescita delle misure che saranno inserite nella prossima manovra di bilancio;

sulle prospettive di crescita, già di per sé basse, grava inoltre un clima di forte incertezza determinato da diversi fattori: il declino della capacità competitiva del nostro sistema economico; la perdurante situazione di crisi in alcuni settori trainanti della nostra economia; la politica dei dazi decisa dall'amministrazione Trump; il contesto geopolitico internazionale condizionato dai conflitti in corso in Europa e nel vicino Medio Oriente;

la produzione industriale, dopo aver subito una caduta verticale durata ben 26 mesi consecutivi, continua la propria fase di discesa dopo un timido dato di ripresa registrato nei mesi di aprile e di luglio. I dati ISTAT corretti per gli effetti di calendario, evidenziano che la produzione industriale dei primi sette mesi del corrente anno è diminuita di 0,8 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2024. I principali settori della nostra manifattura sono in profonda crisi, dalla filiera dell'automotive a quella del tessile, della moda, del mobile e della carta. Il settore siderurgico rischia un forte ridimensionamento in conseguenza della grave situazione di crisi della più grande fabbrica europea di produzione di acciaio;

settori come la meccanica strumentale, i macchinari industriali, la chimica e il farmaceutico, l'abbigliamento e la pelletteria, l'agroalimentare, il vitivinicolo, i trasporti e la moda, rischiano di perdere importanti quote di mercato e di fatturato, stimato in oltre 10 miliardi di euro annui, in conseguenza dell'inasprimento della politica commerciale americana. I recenti dati diffusi sull'andamento dell'export sono fortemente negativi, con scenari di possibile ulteriore rallentamento della crescita economica del nostro Paese nei prossimi mesi. Ad agosto, l'export si è ridotto del 7,7 per cento, con una caduta del 21,2 per cento su base annua per quanto riguarda le esportazioni verso gli Stati Uniti;

la grave situazione del nostro sistema produttivo emerge in tutta evidenza anche dai dati sulle richieste di Cassa integrazione e dal totale delle ore autorizzate, cresciute nel corso degli ultimi due anni di oltre il 30 per cento. Nel 2025, il trend registrato nei primi sei mesi, evidenzia una preoccupante crescita delle richieste di cassa integrazione da parte delle imprese e un preoccupante andamento del totale delle ore autorizzate. Dopo appena sei mesi, le ore autorizzate di cassa integrazione ordinaria, sono state 164.702.472; quelle di cassa integrazione straordinaria sono state 140.416.660; le ore di cassa in deroga sono state 444.362. In totale le ore autorizzate sono state 305.563.494. Qualora il trend del 2025 prosegua in linea con quanto avvenuto nel primo semestre, le richieste di ore di Cassa integrazione potrebbero raggiungere e superare la soglia di 600 milioni di ore autorizzate;

sul fronte della competitività, si assiste al declino inesorabile di tutti gli indicatori di produttività con un conseguente ampliamento del divario già esistente tra l'Italia e i Paesi maggiormente sviluppati. La produttività totale dei fattori (PTF) che racchiude tutti i fattori che contribuiscono alla crescita economica, come il progresso tecnico, l'innovazione e 1'efficienza dei processi ha mostrato una dinamica negativa nel 2023, con un calo dell'1,9 per cento, per proseguire la discesa nel 2024 e nei primi mesi del 2025. In tale contesto, preoccupa l'andamento della produttività per ora lavorata che ha subito una caduta di 2,5 punti percentuali nel 2023, per proseguire la discesa anche nel 2024 e nei primi mesi del 2025;

dal DPFP non si intravede una inversione di rotta sul fronte delle politiche industriali, con misure in grado di rilanciare la produzione nei settori più esposti alla crisi e alla competitività internazionale e per migliorare gli indicatori di produttività. Colpisce l'assenza totale nel DPFP di un Piano per rilanciare lo sviluppo, di idee su come finanziare gli investimenti pubblici o stimolare quelli privati, su come intervenire per ridurre drasticamente i costi dell'energia, per sostenere l'innovazione e la qualità del lavoro. I tagli agli interventi di sostegno alle imprese operati nel corso della legislatura su misure come l'ACE e il Fondo automotive o in interventi disastrosi come il Piano Transizione 5.0, hanno accentuato le difficoltà delle nostre imprese e alla luce dei contenuti del documento non saranno rimpiazzati da efficaci misure;

dal 2027, quando l'effetto del PNRR inizierà a esaurirsi, l'Italia rischia di restare intrappolata nella stagnazione, con preoccupanti incognite anche sulla tenuta dei conti pubblici e l'andamento del debito, che secondo l'UPB arriverà nel 2026 al 139 per cento del Pil e rimarrà a livelli superiori a quanto programmato dal Governo per tutto l'orizzonte temporale del DPFP;

il DPFP fa emergere i preoccupanti dati sull'andamento della pressione fiscale. A partire dall'inizio della legislatura in corso, la pressione fiscale si è progressivamente innalzata passando dal 41,4 per cento del 2023, al 42,5 per cento nel 2024, per attestarsi nello scenario tendenziale al 42,8 per cento nel 2025, al 42,7 per cento negli anni 2026 e 2027 e al 42,6 per cento nel 2028, confermando un andamento che permane a livelli più elevati rispetto al dato di inizio legislatura nonostante i prefigurati interventi sull'Irpef nella prossima legge di bilancio;

tali dati confermano il fallimento delle politiche fiscali adottate dal Governo fin dall'inizio della legislatura, con misure che hanno pesantemente contribuito ad allargare il trattamento fiscale diversificato tra categorie di contribuenti, a vantaggio dei soggetti che possono beneficiare di strumenti come la Flat tax, dei regimi d'imposta sostitutivi e del concordato preventivo biennale. Ormai il rispetto dell'articolo 53 della Costituzione italiana è posto quasi esclusivamente a carico dei percettori di reddito da lavoro dipendente e assimilato e da pensione, nonché di una parte dei lavoratori autonomi e dei professionisti, chiamati a concorrere in maniera più incisiva alle spese pubbliche. Nel frattempo, tra ricorrenti annunci di rottamazione e «pace fiscale», aumenta l'evasione. La Corte dei conti ha recentemente evidenziato un preoccupante trend sul fronte dell'evasione e dell'elusione fiscale determinato dal comportamento di un numero sempre più consistente di contribuenti che non provvedono al versamento in maniera spontanea di quote rilevanti delle imposte dovute e dichiarate, in attesa di misure di definizione agevolata a più riprese annunciate dal Governo;

il quadro che emerge dopo tre anni di Governo Meloni è quello di un Paese più debole e impoverito non soltanto sul fronte della capacità produttiva delle imprese e della loro competitività nel contesto internazionale ma anche sul fronte sociale;

l'innalzamento del costo della vita nel periodo 2022-2023 ha ulteriormente ridotto i già bassi salari reali degli italiani. Secondo l'ISTAT, il debole recupero registrato nel 2024 e nei primi mesi del 2025 non ha consentito di recuperare l'ampia perdita di potere d'acquisto, tanto che le retribuzioni contrattuali reali sono ancora inferiori di circa l'otto per cento rispetto a quelle registrate nel gennaio del 2021. Il fiscal drag ha drammaticamente eroso i redditi dei cittadini italiani per un ammontare stimato di oltre 25 miliardi di euro, solo parzialmente restituiti con misure di politica fiscale. I più colpiti sono i lavoratori dipendenti, in particolare operai e impiegati: per gli operai il drenaggio rappresenta oltre il 5 per cento dell'IRPEF dovuta, mentre per gli impiegati supera il 2 per cento. Inoltre l'accorpamento dei primi due scaglioni riduce leggermente la progressività sui redditi più bassi, mentre le nuove detrazioni decrescenti aumentano il prelievo marginale sui redditi medi, accentuando ulteriormente il drenaggio fiscale in caso di inflazione;

in conseguenza, cresce la disuguaglianza economica e sociale e aumenta il rischio di povertà o di esclusione sociale delle famiglie. Nel 2023, in Italia viveva in una condizione di povertà assoluta il 9,7 per cento della popolazione e complessivamente si contavano 5.694.000 poveri assoluti, per un totale di 2,217 milioni di famiglie. Si allarga, poi, la forbice della distribuzione della ricchezza. Il cinque per cento delle famiglie italiane più abbienti possiede circa il 48 per cento della ricchezza netta totale. Tra il 2011 e il 2022, la quota di ricchezza netta posseduta dal cinque per cento più ricco delle famiglie è passata dal 40 per cento al 48 per cento, mentre il 50 per cento più povero ne possedeva meno dell'8 per cento;

cresce ad oltre 4,5 milioni il numero dei cittadini che rinunciano alle cure sanitarie perché non possono permettersi di rivolgersi al privato, con le liste d'attesa che rimangono lunghe senza che nessuna delle misure adottate dal Governo sia stata in grado di migliorare la situazione. La spesa sanitaria prevista nel DPFP 2025 resta ancora una volta abbondantemente al di sotto della media europea e alle raccomandazioni dell'OCSE, con pesanti ricadute sul già carente personale medico, sanitario e sociosanitario e sulla mobilità sanitaria tra Nord e Sud in ragione della crescente disuguaglianza territoriale. Si tenga conto che nel 2024 l'Italia per spesa sanitaria pubblica pro capite si colloca al 14° posto tra i 27 Paesi europei dell'area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. Infatti la spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,3 per cento del Pil, percentuale inferiore sia alla media OCSE (7,1 per cento), sia a quella europea (6,9 per cento). Per la spesa pro capite, il gap con i Paesi europei è di 43 miliardi di euro;

in tale contesto trovano fondamento le cause della bassa crescita economica evidenziate nei dati del DPFP. Il Paese soffre gli effetti dell'immobilismo del Governo e delle scelte finora adottate, tra cui l'attuazione di politiche orientate a garantire vantaggi per pochi e svantaggi per molti, l'assenza di interventi di politica economica espansiva in grado di sostenere efficacemente le attività economiche, la mancata previsione di misure strutturalmente orientate al recupero del potere d'acquisto dei redditi, l'imminente scadenza di alcuni significativi interventi agevolativi finalizzati al sostegno dell'edilizia abitativa, una politica fiscale iniqua, frammentata e categoriale, senza alcun riferimento a un disegno complessivo e razionale, e una lunga sequenza di sanatorie e condoni fiscali. Mentre il mondo cambia velocemente, emerge in tutta evidenza la necessità di un deciso cambio della rotta intrapresa anche al fine di mantenere una coerenza rispetto al profilo macroeconomico e agli obiettivi di finanza pubblica concordati dal Governo con la Commissione europea a seguito della riforma delle regole della Governance europea;

tenuto conto che:

nel DPFP, il Governo ha evitato di illustrare l'articolazione delle misure di prossima adozione nell'ambito della manovra di finanza pubblica e dei relativi effetti finanziari, limitandosi a indicarne l'ammontare medio annuo di circa 0,7 punti percentuali di Pil, pari a circa 16 miliardi di manovra lorda annua e ad affermare che saranno incluse le misure necessarie per correggere il disallineamento della spesa netta nel 2026. Tale scelta configura il DPFP 2025 come un documento vuoto di contenuti, non esaustivo rispetto al quadro programmatico e, pertanto, inadempiente con gli impegni assunti con le Camere a seguito delle risoluzioni approvate all'unanimità alla Camera e al Senato lo scorso settembre, rimandando i contenuti al prossimo Documento programmatico di bilancio, sottraendo al Parlamento e al dibattito pubblico tutte le informazioni necessarie per conoscere la direzione di marcia che il Paese dovrà affrontare nei prossimi mesi;

l'impatto della manovra, a grandi linee, si dispiegherà attraverso una rimodulazione delle differenti voci e componenti della spesa, con reperimento di risorse che graveranno per il 40 per cento sulle entrate e per il 60 per cento su tagli alla spesa. Su tale fronte emergono forti preoccupazioni sugli interventi sui diversi settori della spesa pubblica, tra cui la sanità e la previdenza sociale, gli enti territoriali e le spese per il sociale, a copertura dell'equilibrio finanziario della manovra. Tra i pochi interventi previsti, senza mai entrare nei dettagli e nella consistenza degli stessi, si annuncia la ricomposizione del prelievo fiscale mirato alla riduzione del carico sui redditi da lavoro, di portata tuttavia assai limitata e non in grado di incidere realmente sui bisogni dei cittadini e di migliorare il profilo della progressività del nostro sistema impositivo. Altrettanto confusi sono i richiami al rifinanziamento del fondo sanitario nazionale, di cui non si comprende la reale entità, alle misure volte a stimolare gli investimenti delle imprese, all'impegno sugli investimenti pubblici e alle misure a sostegno della natalità e della conciliazione vita-lavoro;

nulla viene detto su altri importanti voci, come le pensioni, e in particolare sul tema dell'innalzamento di tre mesi per l'accesso alla pensione, su temi ad impatto sociale e sugli enti locali; sul potenziamento della rete di protezione e inclusione sociale e sulle misure di contrasto alla povertà; per quanto riguarda le persone con disabilità nel DPFP non c'è traccia di una politica organica come non c'è nessun riferimento ai caregiver o a politiche in favore degli anziani mancando, in definitiva, una visione di una nuova politica di welfare universalistica e di comunità che non si limiti ad assistere bensì a costruire percorsi di emancipazione e di autonomia con l'aiuto anche del terzo settore al fine di dare risposte alle nuove esigenze;

il DPFP 2025 contiene indicazioni solo generiche sulle politiche energetiche e climatiche e le misure risultano frammentate e prevalentemente descrittive, senza che siano definiti obiettivi chiari, strumenti di monitoraggio e un quadro complessivo di coordinamento tra le politiche di transizione energetica, sostenibilità ambientale, protezione sociale e sicurezza energetica;

l'unica vera novità è l'aumento senza precedenti delle spese per il settore della difesa, un incremento dello 0,5 per cento del Pil pari a quasi 23 miliardi di euro complessivi in più nel triennio, primo effetto concreto dell'accordo sul riarmo avallato dal Governo Meloni in sede NATO. Il Governo, tuttavia, non include tali importi nel quadro programmatico né definisce i programmi di spesa militare, che inevitabilmente andranno a sostituire voci necessarie alla crescita e al benessere economico e sociale come il sostegno dei redditi e la sanità;

il contesto politico mondiale richiede politiche di sicurezza collettiva che promuovano primariamente soluzioni diplomatiche e di prevenzione dei conflitti, nonché una razionalizzazione delle spese militari nell'ottica di una difesa comune europea che non sottragga risorse cruciali a sanità, istruzione, welfare e transizione ecologica e non alimenti ulteriormente il clima di conflitto,

impegna il Governo:

1) a sostenere le iniziative in ambito UE finalizzate a varare un piano di investimenti comuni sul modello di Next Generation EU, finalizzato alla crescita economica e alla realizzazione della piena autonomia strategica, in grado di aiutare a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori messi a rischio dalle crisi settoriali e in conseguenza della situazione geo-politica internazionale;

2) a predisporre, con urgenza nella prossima legge di bilancio, misure straordinarie per sostenere la crescita e la competitività del nostro sistema economico, per il sostegno dei redditi delle famiglie colpite dalla perdita di potere d'acquisto, per ridurre le disuguaglianze economiche, sociali e territoriali e i rischi di impoverimento dei cittadini;

3) a mettere in campo politiche per la crescita e l'allineamento dei redditi medi italiani a quelli europei; a predisporre, a tal fine, misure per migliorare realmente la condizione economica di milioni di lavoratori prevedendo una strategia a sostegno dei salari, anche attraverso una legge sul salario minimo per contrastare il lavoro povero, garantire retribuzioni dignitose e rafforzare la contrattazione collettiva nazionale delle organizzazioni comparativamente più rappresentative, e migliorando la normativa sull'equo compenso; a potenziare le misure a sostegno del potere d'acquisto delle famiglie, anche mediante la proroga degli interventi a sostegno dell'edilizia abitativa, contrastando il rischio di impoverimento; ad adottare un piano nazionale contro la fuga dei giovani, creando opportunità di lavoro qualificato, con prospettive di carriera e adeguata remunerazione, e prevedendo una applicazione graduale delle normali aliquote d'imposta IRPEF per i giovani lavoratori (cosiddetta Start Tax);

4) a introdurre correttivi fiscali in grado di neutralizzare gli effetti del fiscal drag, restituendo ai contribuenti le somme erose a seguito dell'innalzamento del costo della vita, e ad ampliare le misure di riduzione della pressione fiscale – che nel 2025 ha raggiunto il 42,8 per cento del Pil, il livello più alto degli ultimi dieci anni – a favore della generalità dei contribuenti, con priorità di intervento in favore dei soggetti più deboli e più esposti al rischio di impoverimento; a realizzare una vera riforma fiscale, necessaria ad assicurare l'equità orizzontale, riducendo drasticamente i regimi sostitutivi, e il rispetto del principio costituzionale della progressività, a evitare di fare ricorso a nuove forme di condono e a rafforzare le politiche finalizzate alla riduzione del tax gap; a prevedere una imposta straordinaria sugli extra profitti delle banche e delle società energetiche.

5) a predisporre un piano di rilancio della produzione industriale attraverso incentivi mirati all'innovazione tecnologica e digitale, alla riconversione ecologica e al sostegno dell'industria manifatturiera e alla riqualificazione delle lavoratrici e dei lavoratori; a riorientare le risorse non utilizzate del Piano transizione 5.0 al fine di destinarle a una misura che riproduca il modello virtuoso rappresentato dal Piano transizione 4.0, per sostenere in modo adeguato gli investimenti delle imprese, semplificando le regole procedurali per la fruizione degli incentivi; a ridurre i costi dell'energia per i cittadini e le imprese attraverso il disaccoppiamento dell'energia elettrica dal prezzo del gas;

6) ad assumere tutte le opportune iniziative volte ad assicurare un'accelerazione di spesa dei fondi del PNRR, al fine di garantire l'integrale, tempestivo ed efficiente utilizzo da parte dell'Italia dei fondi europei in tempi celeri e rispettosi del cronoprogramma, in particolare assicurando prioritariamente il raggiungimento di obiettivi trasversali, come la sostenibilità economica, sociale e ambientale degli interventi, nonché la relativa attuazione nell'ambito delle transizioni digitali e green e del riparto bilanciato delle risorse con la destinazione minima del 40 per cento delle stesse al Sud;

7) a predisporre un Piano di interventi da destinare al sostegno dei settori produttivi maggiormente esposti agli effetti dell'introduzione dei dazi e del conseguente rallentamento del commercio internazionale, che preveda misure per favorire l'accesso al credito per le imprese, la previsione di ammortizzatori sociali, interventi per il sostegno all'internazionalizzazione e per evitare le delocalizzazioni, nonché per la riduzione del costo dell'energia e per il rilancio degli investimenti;

8) a incrementare il livello della spesa sanitaria allineandola alla media dell'Unione europea; a garantire un'offerta uniforme su tutto il territorio nazionale dei servizi e delle prestazioni e a ridurre le interminabili liste d'attesa che costringono i cittadini a ricorrere al privato o a rinunciare alle cure; in materia di istruzione, università, ricerca e cultura, ad assicurare livelli di spesa rispetto al Pil in linea con la media UE;

9) a non aumentare ulteriormente l'età di accesso alla pensione di vecchiaia e anzianità, garantendo al tempo stesso il rifinanziamento di Ape sociale e Opzione donna alle condizioni precedenti la legge di bilancio per il 2023;

10) a incrementare significativamente l'importo dell'assegno unico, per rafforzare il sostegno nei confronti dei nuclei familiari con figli a carico; a incrementare l'indennità di maternità e introdurre un congedo paritario di maternità e paternità;

11) a sostenere e rilanciare gli investimenti pubblici; a rifinanziare in misura adeguata il trasporto pubblico locale; a stanziare adeguate risorse per fronteggiare il grave e diffuso disagio abitativo e il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica, nonché per misure di sostegno in favore delle famiglie in affitto e per l'acquisto dell'abitazione principale in favore dei giovani e dei soggetti che versano in situazione di obiettiva difficoltà;

12) a contrastare i divari territoriali abbandonando il progetto di autonomia differenziata, rifinanziando il fondo perequativo infrastrutturale e procedendo ad un piano straordinario di assunzioni nelle pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno, stanziando risorse per le aree interne finalizzate a contrastare il fenomeno dello spopolamento e garantire il diritto a restare attraverso politiche nazionali che incentivino lo sviluppo socio-economico di queste aree e garantiscano l'accesso ai servizi essenziali, in particolare a quelli relativi al trasporto pubblico locale, all'istruzione e alla sanità;

13) ad evitare ogni ulteriore taglio di spesa corrente agli enti locali che determinerebbe, anche in considerazione dell'attuale livello inflattivo, l'impossibilità di erogare i servizi essenziali e garantire il funzionamento delle opere previste dal PNRR, a stanziare risorse per il rinnovo dei contratti del comparto e riconsiderare gli obblighi di accantonamento del Fondo crediti di dubbia esigibilità;

14) a rafforzare e integrare le politiche nazionali per la transizione ecologica e la sicurezza energetica, assicurando coerenza tra di esse, definendo obiettivi concreti e misurabili, individuando le risorse e gli strumenti necessari, in vista del raggiungimento degli impegni europei e internazionali in materia di clima, energia e sostenibilità e della riduzione dei costi dell'energia per le imprese e i cittadini, con particolare attenzione alla tutela delle persone più fragili e alla sostenibilità del sistema energetico nazionale;

15) a promuovere, nelle sedi UE e NATO, il rafforzamento degli strumenti di diplomazia preventiva, sicurezza cooperativa e stabilizzazione, con l'obiettivo di prevenire i conflitti e favorire un'economia della pace.

Seduta del 9 ottobre 2025

Intervento in discussione generale di Silvio Lai, dichiarazione di voto di Maria Cecilia Guerra