Economia

Una manovra tutta sbagliata

07/12/2018

(PRIMA LETTURA)

QUESTA MANOVRA ECONOMICA È TUTTA SBAGLIATA, È TUTTA DA RIFARE

 

Maggioranza e governo si fermino. La manovra approvata alla Camera con la fiducia (e che andrà riscritta al Senato) fa più danni della grandine. Non produce investimenti, taglia fondi a scuola, università e ricerca, penalizza i lavoratori e le famiglie, crea ingiustizie sociali, e fa aumentare le tasse per le imprese e i professionisti.

La loro approssimazione, dimostrata quasi quotidianamente in questi primi sei mesi di governo, si è vista durante tutto il percorso della Legge di Bilancio alla Camera, con balletti penosi di cifre, misure, emendamenti, previsioni surreali di crescita, attacchi all’Europa, meste retromarce e auto-smentite.

 

PERCHÉ VOTIAMO CONTRO

Per giorni, mentre in un evidente tentativo di prendere tempo ci si è dovuti limitare a discutere di misure minori – sostanzialmente “mance” e “mancette” distribuite senza troppo criterio – si sono moltiplicate notizie e voci di una trattativa con l’Unione europea per modificare il deficit e, conseguentemente, i parametri fondamentali della legge di bilancio. Di fatto, dunque, si è discusso “al buio” di una manovra di cui non sono stati finora chiariti in modo definitivo – in particolare per quanto riguarda le sue misure principali, reddito di cittadinanza e “quota 100” per le pensioni – tempi effettivi e cifre reali.

Le modifiche “vere” arriveranno solo durante l’esame in Senato, ma è ormai chiaro che alla fine sarà approvata una legge di bilancio che si limita a sollevare molto fumo con un po’ di spesa assistenziale ma che in realtà non promuove la crescita, non taglia le tasse e non mette in cantiere gli investimenti di cui il Paese ha bisogno.

 

UN PERICOLOSO PASSO INDIETRO

Mentre la maggioranza continua a litigare e a cambiare giornalmente idea su tutto, il Pil torna sotto zero – non accadeva dal 2014 – e lo spread sale, mentre segnali negativi arrivano anche dai mercati internazionali.

Sarebbe stato opportuno proseguire sulla strada delle riforme avviate nella precedente legislatura, per promuovere la crescita e liberare risorse pubbliche indispensabili per contrastare la povertà e sostenere le fasce più deboli della popolazione.

Con questa manovra il governo si è inoltre posto degli obiettivi di crescita non credibili, come hanno rilevato all’unanimità i più autorevoli osservatori nazionali e internazionali, così come hanno ripetuto gli esperti durante le audizioni presso le commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato.

Anziché proporre una legge di bilancio che eviti al Paese il rischio di entrare in recessione, il governo finisce per rendere più probabile una recessione.

 

PIÙ TASSE PER IMPRESE E FAMIGLIE

Con i governi Renzi e Gentiloni la pressione fiscale era diminuita. Il 2019, invece, porterà un cambiamento in peggio. Come rilevato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, la tassazione per le imprese subirà un aumento netto di più di 6 miliardi di euro nel 2019, per poi diminuire nei successivi due anni del triennio di riferimento, in misura comunque inferiore rispetto all’aumento del primo anno.

Rischiano di pagare più tasse non soltanto gli imprenditori, ma anche tutte le famiglie italiane, attraverso gli enti locali. La manovra Lega e M5S non proroga infatti il blocco delle addizionali Irpef comunali e regionali avviato nel 2016.

 

 QUOTA 100: TAGLIA LE PENSIONI E INDEBITA I GIOVANI

Per quanto riguarda la volontà di intervenire sulla materia previdenziale, non si va oltre le promesse elettoralistiche.

La principale misura sottesa a tali indicazioni dovrebbe riguardare l’introduzione della cosiddetta “quota 100”, una soluzione che tutti i principali e più accreditati osservatori hanno considerato ampiamente sottostimata per quanto riguarda i profili finanziari e che, come evidenziato dallo stesso Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), potrebbe comportare consistenti decurtazioni dei trattamenti pensionistici per i lavoratori che vi dovessero accedere. Secondo stime UPB, chi optasse per “quota 100” subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5 per cento in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30 per cento se l’anticipo è di oltre quattro anni.

Nulla si propone per quanto riguarda il trattamento previdenziale che interesserà i giovani lavoratori. Nulla con riferimento alla riproposizione dell’opzione donna, anch’essa oggetto di promessa elettorale. Niente per portare a termine le salvaguardie dalla legge Fornero. Si pone uno stop alla pur positiva sperimentazione dell’Ape Sociale, con la conseguenza che, prima che possano effettivamente entrare in vigore le nuove misure promesse, migliaia di lavoratori si troveranno nell'impossibilità di anticipare il ritiro dal lavoro usufruendo dello strumento introdotto dai governi nella scorsa legislatura. Cambierà qualcosa al Senato? Per ora sono soltanto vaghe promesse.

 

E IL REDDITO DI CITTADINANZA? MEGLIO IL REI

La proposta sul reddito di cittadinanza presenta moltissime incognite. C’è una pressoché totale mancanza di indicazioni precise sulla natura e sulla misura del beneficio. Un’altra incognita è rappresentata dalla possibilità di un efficace contrasto al lavoro nero, che si tenta di superare con la previsione di condizioni alle quali subordinare l’erogazione dell’assegno. C’è anzi il serio rischio che il reddito di cittadinanza indurrà i lavoratori regolari a spostarsi nel sommerso per cumulare sussidio e salario al nero.

Invece di inseguire strampalate promesse elettorali, la maggioranza farebbe bene a potenziarlo il Reddito di Inclusione (ReI), creato dai governi Pd, strumento che non solo esiste già ma sta anche dando ottimi risultati contro la povertà. Chiediamo (e continueremo a farlo) di potenziarlo e di allargare la platea dei beneficiari.

 

E ALLORA IL PD!

#CAMBIODIROTTA

In queste settimane abbiamo proposte misure concrete e alternative che servono davvero al Paese.

Meno tasse:

  • per chi lavora la riduzione del costo del lavoro di 4 punti a partire dal 2019, a beneficio dei lavoratori e dei datori di lavoro6; la riduzione del cuneo fiscale, necessaria sia per un abbassamento del costo del lavoro – misura efficace per stimolare la crescita – sia per un aumento dei salari;
  • per le piccole imprese il mantenimento dell'IRI, l’imposta sul reddito di impresa, al 24 per cento, per le società di persone e le ditte individuali e contestuale soppressione dell’estensione del “regime forfettario”(minimi) e dell’imposta sostitutiva al 20 per cento7. La “flat tax”, prevista nella legge di bilancio con aliquota al 15 per cento, vale solo per professionisti e imprese individuali per redditi fino a 65 mila euro (per il 2019) e al 20 per cento per redditi dai 65 mila ai 100 mila euro nel 2020; queste misure potrebbero determinare effetti distorsivi sui professionisti e le imprese che si collocheranno appena sopra o sotto la soglia;
  • per chi cresce il ripristino dell’ACE (Aiuto alla crescita economica), per chi aumenta il capitale della propria azienda8. L'ACE legava lo sgravio al rafforzamento patrimoniale, e cioè al superamento di una delle principali debolezze strutturali del nostro sistema imprenditoriale, la bassa capitalizzazione. La sostituzione dei regimi in vigore dell'IRI e dell'ACE con i nuovi regimi cambia in modo rilevante le platee delle imprese beneficiate e le finalità degli sgravi, con il risultato di favorire i segmenti più arretrati dell’economia e di disincentivare i processi di crescita delle imprese.

 

Più welfare:

  • per sostenere i redditi un assegno unico e universale per i figli: 5 miliardi l’anno in più per aiutare tutte le famiglie con figli a carico, comprendendo lavoratori dipendenti e autonomi. La proposta formulata cerca di ovviare all'inefficienza e all'iniquità della disciplina vigente, prevedendo una detrazione di 240 euro per 12 mensilità per ogni figlio a carico di età inferiore a ventisei anni e maggiorato per ciascun figlio con disabilità anche per gli incapienti Irpef e per i lavoratori autonomi, prevedendo l’istituzione di un apposito fondo. Raddoppio dei fondi per la lotta alla povertà: 3 miliardi in più per il reddito di inclusione (ReI)9;
  • per i lavori usuranti no alla “quota 100” e sì all’Ape sociale permanente: chi fa lavori di questo tipo deve poter andare in pensione a 63 anni senza essere penalizzato10. L’Ape sociale, che scade improrogabilmente il 31 dicembre 2018, è una concreta opportunità di anticipare l’età pensionabile per chi è disoccupato, ha problemi di salute e ha in famiglia dei disabili, così come per chi fa lavori gravosi;
  • incentivi alla formazione, perché non si abolisce qualcosa che funziona: l’alternanza scuola-lavoro va ripristinata. Più formazione per gli studenti e più contatti col mondo del lavoro. Meno tasse per chi forma i dipendenti per l’utilizzo delle nuove tecnologie e credito di imposta per la formazione 4.0.

 

Più investimenti:

  • per le imprese, sostegno agli investimenti: ripristino dell’iperammortamento e credito di imposta per Ricerca e Sviluppo ed estensione di Impresa 4.0 all’agricoltura12. Sono tutte misure dei governi precedenti che hanno prodotto effetti positivi per il mondo delle imprese. In particolare, la proposta di estendere al comparto agricolo le misure riconducibili ad Industria 4.0 rappresenta uno strumento di politica economica di stimolo agli investimenti privati;
  • per le infrastrutture, istituire “Casa Italia Sicura”, un piano straordinario e permanente di investimenti volto al contrasto del dissesto idrogeologico, alla cura e alla valorizzazione del territorio, alla messa in sicurezza del suolo, allo sviluppo delle infrastrutture idriche e delle aree urbane nonché del patrimonio abitativo e dell'edilizia scolastica, anche in riferimento alla sicurezza e all'efficienza energetica degli edifici, con un investimento annuale di oltre 3 miliardi di euro, a decorrere dal 2019.

 

 

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