Grave vulnus alle regole e alla credibilità del Paese
“Dopo la fanfara mediatica con cui era stata annunciata la commissione di valutazione per i direttori dei musei di prima fascia, apprendiamo oggi con sconcerto che il Ministro della Cultura Alessandro Giuli sconfessa apertamente a mezzo stampa il lavoro della stessa commissione, dichiarandosi “insoddisfatto” delle terne presentate e ipotizzando la riapertura del bando che, di fatto, non sarebbe altro che l'annullamento della procedura. Una decisione grave e pericolosa, che solleva interrogativi non solo sul piano amministrativo, ma anche su quello della legittimità e dell’impatto economico. Il rischio è di esporre l’intera procedura a ricorsi e contenziosi, che rischiano di bloccare ancora una volta il sistema museale che con il Governo Meloni è ormai in balia di decisioni estemporanee e personalistiche del ministro di turno. In ogni caso, ci chiediamo quali siano le reali motivazioni che spingono il ministro a voler rimettere tutto in discussione. C’è forse qualche nome "sgradito" nelle terne proposte? O, al contrario, qualche nome "gradito" che non ha superato la selezione? Se così fosse, saremmo di fronte a una gestione inaccettabile e ben oltre i limiti della trasparenza e della legalità. Chiederemo conto di tutto questo in Commissione Cultura alla Camera, presentando un’interrogazione urgente. Il sistema museale italiano non può essere ostaggio dei capricci del ministro di turno: serve una guida seria, stabile e rispettosa delle regole” così Irene Manzi, Capogruppo PD in Commissione Cultura alla Camera.
“Cosa sta accadendo davvero al ministero della Cultura? La riorganizzazione annunciata da tempo dal ministro Giuli resta opaca e confusa, mentre assistiamo a un vero e proprio accanimento nei confronti di settori fondamentali come il cinema, il teatro e l’editoria. Viene da chiedersi se sia un attacco deliberato a mondi che producono pensiero critico e quindi democrazia”. Lo dichiara la deputata Irene Manzi, capogruppo del Partito Democratico in commissione Cultura.
“Dal tax credit fino alle recenti decisioni sulla distribuzione delle risorse per lo spettacolo dal vivo, il MIC ha penalizzato realtà storiche e manifestazioni di grande valore culturale, ad esempio nell’ambito del teatro contemporaneo. Il tutto mentre si consumano lotte interne tra il ministro Giuli e la sottosegretaria Borgonzoni, culminate da ultimo nelle dimissioni del Dg Borrelli, rischiano di paralizzare l’operatività del più importante comparto culturale del nostro Paese”, aggiunge l’esponente dem.
“Siamo davanti a scelte – conclude Manzi - che sembrano ispirate più da logiche politiche che da criteri tecnici, come confermato da dichiarazioni di esponenti della stessa maggioranza. E mentre si colpiscono la creatività e l’innovazione, il Premio Strega viene indicato come un bersaglio da combattere, invece che valorizzato per il suo ruolo. Non va meglio nemmeno nel settore librario, dove i fondi annunciati con il piano Olivetti non sono ancora stati assegnati alle biblioteche, nonostante il settore editoriale ne abbia tratto fondamentale sostegno. Invece di immaginare nemici, il ministero dovrebbe dimostrare senso delle istituzioni e intervenire con urgenza per sostenere concretamente settori culturali strategici per lo sviluppo culturale ed economico del Paese”.
Depositata interrogazione: che fine hanno fatto i 24,8 milioni previsti per il 2025?
“I fondi dell’editoria sono fermi al palo: che fine hanno fatto i 24,8 milioni di euro previsti per il 2025 a sostegno delle biblioteche e della filiera editoriale? Il Ministro Giuli dovrebbe rispondere a questa domanda, invece di rifugiarsi ogni giorno in nuove polemiche per coprire i ritardi e l’inefficienza della sua gestione”. Lo dichiara Irene Manzi, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Cultura alla Camera, commentando le ultime dichiarazioni del Ministro della Cultura e annunciando la presentazione di un’interrogazione parlamentare sul tema. “Il cosiddetto Piano Olivetti, approvato lo scorso dicembre – prosegue Manzi - prevede uno stanziamento di 24,8 milioni di euro per il 2025 e 5,2 milioni per il 2026 per l’acquisto di libri da parte delle biblioteche pubbliche e degli enti culturali, con l’obiettivo di rafforzare la rete bibliotecaria nazionale e sostenere la produzione editoriale. Peccato che, a oltre 120 giorni dalla sua entrata in vigore – ben oltre il limite dei 90 giorni previsto dalla norma – si stiano ancora attendendo i decreti attuativi del Ministero. Un grave ritardo che sta creando forte incertezza tra le biblioteche e soprattutto tra gli editori medio-piccoli, che attendono risorse essenziali per continuare a lavorare”, prosegue Manzi. “Mentre il comparto editoriale soffre per i tagli imposti dal Governo Meloni alla promozione della lettura, il Ministro Giuli si dedica alle polemiche, oggi prendendosela persino con il Premio Strega. La verità è che il Ministero è paralizzato, gli uffici sono bloccati dalla politicizzazione di ogni decisione e l’unica linea che Giuli sembra perseguire è quella dello scontro continuo per mascherare la propria inadeguatezza”.
"A forza di inseguire polemiche, il Ministro Giuli finisce per inciampare nel suo stesso risentimento. Oggi ha trovato il modo di prendersela anche con il Premio Strega, dimenticando un fatto essenziale, come ricordato dalla stessa Fondazione Bellonci: è stato lui stesso, con una lettera, a dimettersi dalla giuria nel momento della sua nomina al Ministero” Così Irene Manzi, Capogruppo PD nella Commissione Cultura della Camera dei Deputati. “Siamo all’ennesima polemica inutile, forse, solo a mascherare l’assenza totale di contenuti e risultati concreti. Il Ministero della Cultura sotto la guida di Giuli è fermo: l’editoria attende da troppo tempo una legge di settore, i fondi prima tagliati e poi parzialmente reintegrati sono comunque insufficienti, e le scelte ideologiche del governo Meloni hanno colpito duramente la promozione della lettura e il sostegno all’acquisto di libri. Mentre il mercato del libro è in calo, il Ministro si rifugia nelle polemiche e nelle battute invece di affrontare i problemi con serietà e competenza” conclude Manzi.
“Oggi in commissione istruzione e cultura della Camera dei Deputati, nel corso delle audizioni sul disegno di legge con cui il Ministro Valditara prevede il “consenso informato” dei genitori per i progetti di educazione alla sessualità nelle scuole, l’Associazione nazionale presidi ha sottolineato come sia impossibile chiedere il “consenso informato preventivo” se il progetto è inserito strutturalmente all’interno del progetto triennale dell’offerta formativa della scuola che è la carta d’identità di ogni singolo istituto, elaborata con tutta la comunità educante, anche con le famiglie. Dunque il consenso informato - su cui esprimiamo in ogni caso la nostra forte perplessità- potrebbe valere soltanto ed esclusivamente per i progetti extracurriculari, che la scuola può mettere in campo. Chiediamo al ministro, alla luce di questa e di molte altre considerazioni emerse nel corso delle audizioni odierne, di cogliere quest’occasione per rendere finalmente strutturale e certa l’educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole italiane, così come fanno altri 20 Paesi europei e di non escludere la scuola primaria. Non possiamo rinunciare all’importantissima prevenzione primaria della violenza. Il numero di donne uccise all’anno e l’incidenza della violenza di richiede misure urgenti definitive e non episodiche e su base volontaria”
Così in una nota la Sara Ferrari e Irene Manzi rispettivamente capogruppo nella commissione bicamerale sulla violenza e il femminicidio e nella commissione cultura della Camera.
“Siamo davanti a un uso delle istituzioni completamente fuori dalle regole e da ogni logica. Il declassamento della Fondazione Teatro della Toscana, che ha alla direzione artistica una figura di altissimo profilo come Stefano Massini, rappresenta un fatto di una gravità senza precedenti. Un atto che ha il sapore evidente della rappresaglia politica e che mina alla base l'autonomia e la credibilità delle istituzioni culturali del nostro Paese. Che configura inoltre un attacco politico del governo alla città di Firenze che evidentemente viene considerata dalla maggioranza territorio ostile.” Lo dichiarano i deputati del Partito Democratico Commissione Cultura della Camera.
“Mai prima d’ora – proseguono Manzi, Orfini, Berruto e Iacono – era accaduto che una fondazione teatrale nazionale venisse declassata per motivi che nulla hanno a che vedere con la qualità artistica o la gestione culturale. Questo colpo basso non è soltanto un attacco a La Pergola, ma un precedente pericoloso che rischia di trasformare la valutazione culturale in terreno di scontro ideologico e politico. Di fronte a tutto questo, la decisione di tre autorevoli membri della Commissione consultiva per il Teatro del MiC di dimettersi è un gesto di grande dignità e coerenza, che condividiamo e rispettiamo profondamente. Ci aspettiamo che il ministro Giuli chiarisca al più presto se intenda realmente subordinare la cultura alla logica della fedeltà politica. Se così fosse, saremmo davanti a un tradimento della funzione pubblica e del mandato del Ministero della Cultura stesso. Su quanto accaduto presenteremo nelle prossime ore un’interrogazione urgente alla camera.”
“Con l’inizio degli esami di maturità e la fine dell’anno scolastico è tempo di bilanci, ma per il mondo della scuola le notizie non sono buone. Ancora una volta, la destra considera l’istruzione un ambito su cui risparmiare, come dimostrano i tagli alle cattedre in legge di bilancio ed i limiti alla formazione di nuove classi inseriti nell’ultimo decreto PNRR scuola”. Lo dichiara Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura della Camera.
“Il ministro Giorgetti – aggiunge l’esponente dem - ha parlato di calo demografico come se fosse una giustificazione per ridurre gli investimenti, quando invece dovrebbe essere un’occasione per rilanciare la scuola: classi meno affollate, sperimentazioni didattiche, ambienti innovativi. E invece, come ai tempi della ministra Gelmini, la scuola torna ad essere lo strumento per fare per i conti pubblici. Il Partito Democratico chiede che la questione educativa diventi una priorità vera, non solo a parole. La denatalità non deve essere un alibi, ma un’opportunità strategica: servono investimenti, non tagli. Per questo chiediamo un confronto ampio con tutte le forze politiche e sociali, come auspicato dallo stesso Giorgetti. Noi ci siamo e siamo pronti a contribuire con proposte serie e costruttive".
“Purtroppo – conclude Manzi – il ministro Valditara mostra ancora una volta una profonda sfiducia verso il mondo scolastico. Pensa agli studenti solo in termini punitivi e guarda con nostalgia ad un passato idealizzato. La scuola ha bisogno dell’esatto opposto: di fiducia, di visione, di un grande patto educativo tra istituzioni, docenti, studenti e famiglie. Solo così si potrà affrontare davvero la sfida del presente e costruire il futuro”.
“La situazione del sistema universitario e della ricerca pubblica in Italia è diventata insostenibile. Siamo tra i Paesi OCSE con la più bassa spesa pubblica in ricerca, ferma allo 0,5% del PIL, lontanissimi da Germania (2,6%), Francia (2,1%) e Danimarca (4,8%). E il lieve incremento previsto nei prossimi cinque anni, pari allo 0,1%, è del tutto insufficiente”. Lo ha detto in Aula alla Camera, Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura, intervenendo sulla mozione del Pd per un piano strategico nazionale volto ad attrarre e a favorire la permanenza di ricercatori europei ed extraeuropei in Italia.
“Il settore – ha proseguito l’esponente dem - continua a essere schiacciato dal precariato: su oltre 125mila addetti, ben 74mila sono precari. E i tagli voluti dall’esecutivo che riducono il fondo ordinario degli atenei, insieme al blocco del turn over rischiano di compromettere la tenuta del sistema. La mancanza di una visione strategica, l’assenza di investimenti e l’assenza di un piano straordinario di reclutamento, colpiscono giovani ricercatori, dottorandi e assegnisti, mentre il resto d’Europa rafforza le proprie università. Il paradosso è evidente: si parla di attrarre talenti dall’estero mentre si spinge all’emigrazione quelli italiani”.
“Il Partito Democratico - conclude Manzi - chiede un’inversione di rotta: serve un piano straordinario e strutturale per il reclutamento dei ricercatori e un investimento stabile nella ricerca di base. L’Italia ha bisogno di una politica pubblica che riconosca alla ricerca il ruolo strategico che merita. E’ sconfortante assistere ai pareri contrari del governo alle mozioni presentate dalle opposizioni perché questa poteva diventare una grande occasione di confronto comune su un tema così cruciale per il futuro del Paese: quello della libertà e dell’indipendenza della ricerca ”.
"Subito il salario minimo nei bandi e negli appalti pubblici: l’irresponsabile inerzia del Governo Meloni sta impoverendo milioni di persone”, afferma la deputata democratica, Irene Manzi, sottolineando come la Caritas abbia certificato con nettezza l’aumento dei lavoratori poveri, l’incapacità delle famiglie di far fronte al caro vita e la progressiva erosione dei redditi. “È inaccettabile che, mentre il costo della vita sale, lo Stato si limiti a osservare. In questo senso - sottolinea Manzi - la proposta di Matteo Ricci di vincolare chiunque lavori per la Regione Marche al rispetto dei contratti collettivi nazionali e a garantire un salario minimo di 9 euro l’ora è un modello da seguire. Una proposta giusta, sacrosanta, rispettosa della dignità del lavoro - conclude Manzi appellandosi al Governo - a non rimandare più l’approvazione della proposta del salario minimo: serve coraggio politico, subito.”
“Oltre il 25 per cento degli adolescenti ha un uso problematico dello smartphone, con effetti negativi su salute, relazioni e sull’apprendimento. L'uso del cellulare è ancora più dannoso durante l'orario scolastico e, nonostante sia vietato da direttive ministeriali, ben il 65% degli studenti è soggetto a grande facilità di distrazione, scarsa concentrazione e, di conseguenza, voti bassi. In entrambi i rami del Parlamento è depositata una proposta di legge bipartisan sulla tutela dei bambini e gli adolescenti nell’utilizzo degli strumenti digitali, dove è anche prevista un’età minima per la fruizione”. Così si legge nell'interrogazione presentata dalle deputate Pd, Marianna Madia, vicepresidente in commissione Politiche Ue, e Irene Manzi, capogruppo in commissione Cultura, al ministro Valditara con cui si sollecita di accelerare sul divieto dell'uso dello smartphone in classe.
“Il ministro Valditara - continuano le deputate - recentemente ha annunciato dall’inizio del prossimo anno scolastico, il divieto, esteso anche alle scuole superiori di secondo grado, degli smartphone in classe ma ancora non chiaro come il governo voglia muoversi per monitorare la situazione e attuare, con celerità, il divieto e l'iter parlamentare”. Un'analoga interrogazione è stata presentata al Senato dalla senatrice Pd, Simona Malpezzi.
“Il 67 per cento dei bambini con background migratorio è nato in Italia e frequenta le nostre scuole. Questo dato, da solo, racconta l’enorme ingiustizia che si consuma quotidianamente ai danni di migliaia di bambine e bambini: crescono nel nostro Paese, parlano la nostra lingua, condividono lo stesso percorso educativo dei loro coetanei, ma non hanno le stesse opportunità di vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana”. Così la deputata Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura e responsabile nazionale Scuola del Pd.
“È il momento – aggiunge l’esponente dem - di colmare questo vuoto normativo e umano. Votare SÌ al referendum non è solo un atto politico, ma un gesto di giustizia verso una generazione che vive da italiana pur senza esserlo per legge. È necessario guardare alla realtà delle nostre aule scolastiche, dove la legge attuale non riesce più a rappresentare ciò che accade ogni giorno”.
“L’8 e il 9 giugno – conclude Manzi - sono un’occasione decisiva per cambiare rotta e riconoscere diritti a chi li merita. Andiamo a votare e votiamo SÌ: per una scuola che include, per un’Italia più giusta, per un futuro davvero comune”.
“5660 cattedre in meno nella scuola, 2174 posti tagliati al personale ATA nel 2026/2027. Sono numeri reali, nero su bianco nell’ultima legge di bilancio, e oggi stanno diventando realtà nei territori: meno classi, meno docenti, meno opportunità. Il governo Meloni colpisce al cuore l’istruzione pubblica, nascondendo dietro il calo demografico una logica ragionieristica inaccettabile”. Lo ha detto in Aula alla Camera Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura, nel corso delle dichiarazioni di voto finali al dl Pnrr e per l'avvio dell'anno scolastico 2025/2026, esprimendo il voto contrario del Gruppo dem.
“A peggiorare il quadro – ha evidenziato l’esponente Pd – nel decreto si stabilisce che dal 2026/2027 non si potranno costituire più classi di scuola secondaria superiore di quante ce ne siano state nel 2023/2024, a prescindere dal numero di studenti. Una norma che rischia di portare a sovraffollamento delle classi, soprattutto nelle aree più fragili del Paese. Una vera e propria macelleria sociale. Con la riforma degli istituti tecnici si riducono le ore di insegnamento generale nel biennio, si anticipano i percorsi PCTO, senza risorse aggiuntive, laboratori, formazione o investimenti per l’orientamento. Un’idea miope che non valorizza l’istruzione tecnica e perde la grande scommessa rappresentata dal Piano Nazionale di Ripresa e resilienza.”
“Infine non è possibile ignorare – ha concluso Manzi - l’emendamento sul pre-ruolo universitario inserito nel passaggio al Senato: si moltiplicano le figure precarie nella ricerca senza nuove risorse, senza tutele. È un colpo alla dignità del lavoro accademico e un tradimento degli impegni presi con l’Europa. Il Partito Democratico ha presentato proposte concrete per contrastare la povertà educativa, per garantire qualità e continuità nel lavoro di chi fa scuola e ricerca, per venire incontro anche alle richieste migliorative relative al contratto di ricerca. Non si è mai pensato da parte della maggioranza di aprire un vero confronto di merito su questo. E questo decreto va nella direzione opposta da quella che vorremmo attuare. Ecco perché votiamo contro, e continueremo ad opporci a questa visione nelle Aule parlamentari e nel Paese, per ribadire che tutto questo non è e non sarà mai a nostro nome”.
“Assistiamo al grido d'allarme di quasi dodicimila, tra ricercatori, tecnici, assegnisti del Cnr, il più grande ente di ricerca italiano: quale sarà il loro futuro? Il mandato della presidente è scaduto, non rinnovato e non risulta alcuna sostituzione dei nuovi membri del consiglio di amministrazione. Si susseguono voci che ipotizzano il commissariamento del Cnr e il governo rimane in silenzio e non dà alcuna risposta o certezza. Il governo Meloni non sceglie e non prende decisioni. Le preoccupazioni diventano un allarme: sul futuro del Cnr e degli 11 miliardi di fondi del Pnrr per la ricerca, il silenzio non è accettabile. Le lavoratrici e i lavoratori del Cnr meritano risposte che il governo in questo momento, come dimostra anche la risposta della ministra Bernini, non intende dare ” Lo dice la deputata Irene Manzi, capogruppo Pd in Commissione Cultura, durante il Question Time alla Camera alla ministra Anna Maria Bernini.
La risposta del governo Meloni e in particolare del ministro della Cultura Giuli alla crisi del settore editoriale è del tutto insufficiente e lacunosa e tradisce il mondo dell’editoria di fronte al grido d’allarme lanciato dagli editori al Salone del Libro di Torino e alle promesse non mantenute. Il ministero, rispondendo a un nostro Question Time in commissione, non ha dato tempi certi o impegni chiari per potenziare il finanziamento al settore. Non possiamo accontentarci di generiche dichiarazioni d’intenti. Serve un intervento strutturale, e serve subito.” Lo dichiara Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura.
“La sostituzione della 18app con la Carta Cultura e del Merito – prosegue l’esponente dem – ha smantellato una misura universale, trasformando un diritto in un premio legato a requisiti reddituali e di merito. Non è accettabile che l’accesso alla cultura venga condizionato in questo modo, specie per le giovani generazioni”.
“Senza una legge quadro sul libro – conclude Manzi - senza risorse e strumenti stabili, l’Italia rischia di compromettere una delle sue industrie culturali più importanti. È urgente convocare un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore e costruire una politica del libro che guardi al lungo periodo. Chiediamo una visione strategica, non misure spot con scadenze predefinite. La cultura non può essere lasciata alla precarietà delle singole iniziative: serve un impegno serio, continuativo e strutturato”.