“L’accordo commerciale annunciato è un colpo durissimo per il nostro sistema produttivo. L’apprezzamento dell’euro sul dollaro — salito di quasi il 15% negli ultimi mesi — sta già mettendo in seria difficoltà le esportazioni italiane, e per molte imprese questo si traduce in un impatto reale quasi doppio: si scrive 15, ma si legge 30.
In questo scenario preoccupante, il governo prova a scaricare le proprie responsabilità lasciando le imprese italiane da sole di fronte a uno squilibrio grave e insostenibile.
Chiediamo che il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si presentino immediatamente in Parlamento a riferire su quali saranno le necessarie misure compensative” così il capogruppo democratico in commissione Bilancio alla Camera, Ubaldo Pagano.
“Sui dazi la gara tra Von der Leyen e Meloni ormai è sulla ‘cupidigia del servilismo’ come avrebbe detto Vittorio Emanuele Orlando nei confronti di Trump. La prima falsa europeista, la seconda falsa nazionalista: non c’è nulla di cui essere contenti anzi un disastro” così sui social il democratico Stefano Graziano.
“Con l’accordo sui dazi siglato da Von der Leyen e Trump, che prevede dazi medi del 15% su beni chiave dell’export europeo, ci troviamo di fronte non ad un'intesa ma ad una vera e propria resa che produrrà danni economici drammatici. E l’Italia, ancora una volta, è tra i paesi che pagheranno il prezzo più alto. Una capitolazione dell’Europa dovuta ad una debolezza politica determinata anche e soprattutto da posizioni degli Stati membri ambigue e subalterne a Trump come quelle del Governo italiano. Meloni doveva fare da pontiera per difendere gli interessi delle nostre aziende e dei nostri lavoratori, invece ha fatto la portabandiera di Trump svendendo il nostro Paese e il Made in Italy. Il 15% di dazi unilaterali sulla stragrande maggioranza dei prodotti destinati all'export, aggiunta peraltro alla svalutazione del dollaro, ci costerà cara. Si stima che l’Italia possa perdere almeno 23 miliardi di euro di esportazioni verso gli USA. Le imprese del Made in Italy, già alle prese con il costo dell’energia, l’instabilità geopolitica e la burocrazia, oggi vedono crollare interi segmenti di fatturato. È inaccettabile ed anche ridicolo che Meloni parli di un risultato positivo. Ora chieda scusa al Paese e spieghi cosa intende fare a livello nazionale ed europeo per difendere e mettere in sicurezza il nostro tessuto produttivo ed occupazionale. Questo accordo, inutile girarci intorno, è una disfatta. Non c’è nulla da festeggiare, solo da rimediare mettendo da parte la propaganda e iniziando a difendere davvero l’interesse dell’Italia e dell'Europa”. Così Piero De Luca, capogruppo Pd in commissione politiche europee alla Camera
"Più che un accordo sembra una debacle dell’Unione Europea. Dazi al 15%, aumento di centinaia di miliardi di investimenti europei negli Stati Uniti, acquisto di energia e armi negli Usa. E niente global minimum tax per i giganti statunitensi del web. Ma Ursula Von der Leyen, afferma che si tratta “dell’accordo più importante di sempre”. Ma per chi? Meloni parla già di "accordo sostenibile", mentre già con l'ipotesi del 10% Confindustria aveva calcolato una perdita per il sistema nazionale di 20 miliardi e 118mila posti di lavoro in meno. Impossibile trovare qualcosa di positivo per i paesi europei, Italia inclusa. Un esempio di sudditanza nei confronti di Donald Trump che costerà molto caro a tutti e tutte noi". Lo dichiara Laura Boldrini, deputata Pd e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.
“Non è una vittoria e non si è evitata una guerra commerciale: era di fatto già in atto e iniziata da Donald Trump”.
Così Chiara Gribaudo, vicepresidente del Partito Democratico, in diretta su Agorà su Rai3 in merito ai dazi al 15% decisi ieri.
“C’è stata un’imposizione che costerà carissimo al nostro Paese e ciò dimostra la poca efficacia nonostante i rapporti cosiddetti privilegiati tra il nostro Governo e quello americano - ha detto la deputata dem - Siamo in una fase storica in cui Trump si permette di dare patenti a chiunque, mostrandosi impositivo nei confronti dell’Europa e degli Stati europei, con modi imbarazzanti”.
“Ora vedremo come proseguirà, questa è stata solo la prima puntata: gli Stati Uniti hanno già dimostrato con il Giappone che dopo il primo punto la discussione prosegue. Per ora si conclude con il 15%, ma Trump ci ha abituato a svolte quotidiane per cui potrebbe non essere il punto definitivo. L’unica certezza è che farà male al nostro Paese” ha concluso Gribaudo.
“Ue in ginocchio, Trump, sui dazi, ha imposto le sue richieste. Non solo dazi al 15% che avranno una portata maggiore in virtù della svalutazione del dollaro ma Trump ha ottenuto dalla UE investimenti per 600 miliardi di dollari e l'acquisto per 150 miliardi di dollari di energia e di armi. Questo non è un accordo ma una capitolazione che peserà pesantemente in termini economici e di lavoro sulle imprese italiane. L'Ue ha rinunciato a mettere in campo la sua forza unitaria venuta meno per responsabilità delle forze di destra e sovraniste. L'accordo potrà forse piacere a Salvini e a Meloni ma non certo al nostro comparto produttivo. I danni al comparto agroalimentare saranno devastanti, il settore del vino in particolare. Il miliardo tanto sbandierato da Lollobrigida, e sottratto dai fondi di coesione, non basterà ad affrontare la crisi“.
Così il segretario di Presidenza della Camera e capogruppo Pd in commissione Ecoreati, Stefano Vaccari.
“E’ paradossale che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non si esprima sulla tragedia che si sta consumando nella Striscia di Gaza, e che l’Italia a causa di questo immobilismo del governo non sia partecipe dell’operazione umanitaria promossa da Gran Bretagna, Germania e Francia, per portare aiuto con lancio di viveri dagli aerei ad una popolazione ormai ridotta allo stremo. Meloni è ormai praticamente scomparsa da ogni tavolo internazionale, non solo sulla crisi mediorientale, ma anche sulla questione ucraina e sul tema dei dazi di Trump. Questa sua sudditanza ai dettami del presidente degli Stati Uniti ha provocato il nostro isolamento e inconsistenza”.
Così il capogruppo Pd in commissione Difesa alla Camera, Stefano Graziano.
“Il decreto sport discusso oggi in Aula in realtà, con lo sport ha poco a che fare. È meglio definirlo per ciò che è: una rappresentazione plastica della voracità insaziabile di questo Governo rispetto all’occupazione di poltrone, spazi, potere nel mondo dello sport”. Lo dichiara il deputato Pd Mauro Berruto, responsabile per le politiche sportive del Partito Democratico, sul dl Sport.
“Ne sono esempi lampanti – sottolinea l'esponente dem - l’aumento dei componenti nella governance della fondazione Milano-Cortina arrivato nottetempo, l’America’s Cup ma senza la rappresentanza della Regione Campania e l’attacco frontale alle ATP finals che metteva a rischio l’assegnazione del torneo stesso all’Italia, fortunatamente scampato in base alla possibilità di mantenere l’attuale governance rinunciando al contributo pubblico, insieme alla soglia di 5 milioni al di sotto della quale si manterrà autonomia gestionale a tutele delle federazioni medio-piccole, frutto di un nostro emendamento. E ancora sub-emendamenti dell’ultimo minuto sulle figure di ipotetici commissari, la vergogna del contributo per la doverosa sicurezza dei Giochi Olimpici, stornato però dai risparmi del fondo di rotazione per le vittime di mafia, usura, racket e orfani di femminicidio nonostante tre diverse proposte delle opposizioni per trovare quel denaro da fondi diversi”.
“Tutto in un balletto di interruzioni, rinvii, emendamenti difesi e ritirati al punto di non permettere oggi la conclusione del provvedimento, come doveva essere. Siamo felici delle correzioni che siamo riusciti ad apportare al testo: in particolare quella orientata a promuovere l’equilibrio di genere all’interno delle governance dei grandi eventi sportivi, promossa, difesa e ottenuto grazie a un emendato che ho firmato insieme alla collega Sara Ferrari”, conclude Berruto.
“La decisione del Partito Repubblicano americano, e in particolare di Donald Trump, di ritirare nuovamente gli Stati Uniti dall’UNESCO non è nuova, ma rappresenta oggi un segnale ancora più preoccupante. Non è la prima volta che accade: anche Reagan e Bush avevano compiuto lo stesso passo, ma in un contesto geopolitico molto diverso. Oggi, nel pieno di una stagione di nazionalismi crescenti, la scelta di Trump si inserisce in una strategia di chiusura, isolamento e rifiuto di valori fondamentali come il multiculturalismo e la cooperazione internazionale, che sono alla base del mandato dell’UNESCO”. Così Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura alla Camera.
“Questo passo indietro – aggiunge l’esponente dem - si accompagna ad altri segnali allarmanti: i tagli all’istruzione, i dazi, e più in generale una visione che considera cultura, educazione e informazione come elementi marginali, se non ostili. È un modello che mina le fondamenta delle democrazie moderne”.
“Di fronte a questa deriva – conclude Manzi - l’Europa e l’Italia hanno il dovere di rispondere con forza. Non basta vantarsi del numero di siti UNESCO presenti nel nostro Paese. Il governo Meloni e il ministro Giuli dovrebbero assumere una posizione chiara, ribadendo l’impegno dell’Italia nella cooperazione culturale internazionale e sollecitando gli Stati Uniti a non abbandonare un’organizzazione cardine come l’UNESCO. I temi della cultura, dell’educazione e della libertà di espressione devono restare centrali nell’agenda democratica europea”.
"Secondo il governo, i due italiani rinchiusi nel centro di detenzione chiamato Alligator Alcatraz, il carcere voluto da Donald Trump circondato da un fossato pieno di alligatori, sarebbero in "difficili” condizioni detentive. Oltre trenta persone chiuse in gabbie come polli, costrette ad andare in bagno in spazi aperti sotto gli occhi di tutti, senza poter vedere un avvocato, per il governo sarebbero "difficili condizioni detentive". E' così che la sottosegretaria agli Esteri Tripodi ha risposto oggi all'interrogazione del collega Peppe Provenzano che ho illustrato durante il question time.
Condizioni umilianti, indegne, non ammissibili un paese democratico che per il nostro governo sono appena "difficili".
Fino a quando Meloni e Tajani saranno così supini di fronte a Trump da accettare qualsiasi cosa arrivi da Washington, compreso il trattenimento degradante di due connazionali? Non sono loro i patrioti? Quelli di "prima gli italiani"? O questo non vale più quando bisogna avere il polso fermo con un alleato potente?
Per quanto ancora sono disposti perfino a giustificare le inaccettabili uscite di Trump come la Riviera del Mediterraneo a Gaza, i dazi, il 5% del pil in armi e addirittura che i patriot promessi dagli Usa a Zelensky li paghi la Nato e, quindi, gli europei?
Meloni sta sacrificando la dignità dell'Italia sull'altare del tycoon: Trump ordina, Meloni esegue. Davvero non ci sono più parole". Lo dichiara Laura Boldrini, deputata Pd e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.
“Mentre le due principali economie europee si muovono per gestire la minaccia dei dazi americani, l’Italia viene tenuta fuori. Macron e Merz si incontrano a Berlino per definire la linea comune sul fronte UE-USA. Il tavolo è ristretto, le strategie si affinano, le scelte si fanno. Ma l’Italia non c’è. Non invitata. Non ascoltata. Non rilevante. Il governo Meloni è assente dai luoghi in cui si decide il futuro economico del continente. E non per caso. Sarà scetticismo o forse vera e propria sfiducia, ma la realtà è che l’Italia oggi non è considerata un interlocutore credibile in Europa. Troppo schiacciata sulle posizioni di Donald Trump, troppo allineata a logiche nazionaliste per essere ritenuta in grado di difendere davvero l’economia europea.
Un atto di sfiducia politico, concreto, che pesa come un macigno. Il prezzo di questo isolamento lo pagheranno le imprese italiane, i lavoratori, il Made in Italy già sotto pressione” così il vicepresidente del gruppo del Pd alla Camera, Toni Ricciardi.
"Le nomine di Telemeloni sono sempre più lontane dal servizio pubblico e sempre più vicine a una sezione dell’MSI”. Così i componenti democratici della Commissione di Vigilanza Rai, annunciando che porteranno il caso Petrecca all’attenzione della Commissione. “La protesta della redazione di RaiSport – sottolineano i deputati democratici - è solo l’ultimo campanello d’allarme: a furia di scegliere dirigenti per affiliazione politica o amicizie personali, il governo sta svuotando la Rai di competenze e credibilità. Paolo Petrecca, già sfiduciato a Rainews, è stato bocciato due volte anche a RaiSport. Il suo piano editoriale è stato respinto, la gestione considerata fallimentare, le scelte di personale giudicate arbitrarie. Ora i giornalisti incrociano le braccia: il primo sciopero è previsto per il 24 agosto, prima giornata di Serie A, quando erano in programma anche speciali sui Mondiali di volley e ginnastica artistica. E nuove mobilitazioni sono pronte, se il CdA non interverrà. Un vero e proprio disastro: basta amichettismo, il servizio pubblico non è una poltrona di partito” concludono i democratici.
“Da mesi denunciamo l’assenza totale di una strategia del governo Meloni sui dazi. L’esecutivo ha prima sottovalutato e poi minimizzato l’impatto delle misure commerciali statunitensi, arrivando persino a definirle ‘un’opportunità’. Oggi i numeri parlano chiaro: con dazi al 10%, sono a rischio 118 mila posti di lavoro, che potrebbero salire a 180 mila con dazi al 30%. In pericolo ci sono fino a 38 mila imprese, in particolare nei settori più esposti all’export verso gli USA.” Lo ha detto Piero De Luca, capogruppo Pd in commissione politiche europee, a SkyTg24 Economia
“A fronte di questo scenario drammatico, prosegue De Luca, il governo spagnolo ha stanziato 9 miliardi di euro per sostenere aziende e lavoratori. In Italia, invece, nessun intervento concreto. L’unica proposta ascoltata finora? L’assurda ‘operazione Bresaola’ del ministro Lollobrigida.”
“Serve una strategia europea unitaria e forte. L’Italia deve spingere per un negoziato ragionevole in sede UE, così come per una diversificazione dei mercati, a partire dalla ratifica del trattato Mercosur. Al contempo bisogna mettere in campo un piano nazionale di sostegno all’internazionalizzazione e alla riduzione del costo dell’energia. Il governo Meloni deve smetterla con la propaganda e agire subito. Ogni giorno perso mette a rischio migliaia di imprese e posti di lavoro.”
Tariffa al 30% sarà devastante per intera filiera agroalimentare, per pasta sarà addirittura del 46%
“La tariffa doganale al 30% sarà devastante, per il nostro sistema agroalimentare in primis e per altri comparti strategici come la chimica e la farmaceutica, l'automotive,
la meccanica e la metallurgia, la moda. Il racconto di "Meloni amica di Trump" è caduto e il Made in Italy è esposto a una crisi senza precedenti. I formaggi pagano già dazi del 15%, che salirebbero al 45%. La pasta oggi paga il 16%, salirebbe al 46%. E non dimentichiamo le ricadute su un settore strategico come quello del vino. L'Europa deve continuare a trattare, in maniera meno timida, e Meloni deve uscire dalla sua torre d'avorio e dimostrare di avere l'autorevolezza necessaria per tutelare il Made in Italy. Se ai dazi aggiungiamo l'ipotesi di tagli alla nuova Politica agricola comunitaria, è bene che il ministro Lollobrigida smetta di fare il passacarte e agisca, insieme al collega Fitto, per scongiurare questo scenario”. Così la capogruppo democratica nella commissione agricoltura della Camera, Antonella Forattini.
“La Toscana esporta in Usa oltre 10 miliardi di euro dei 67 totali nazionali. E' palese come i dazi Usa al 30 per cento rischierebbero di devastare l'economia regionale e colpire al cuore una delle eccellenze del Made in Italy: il settore vitivinicolo e agroalimentare. E' altrettanto evidente come ormai Giorgia Meloni sia stata messa all'angolo dall'amministrazione americana mentre i partiti del suo governo litigano ogni giorno sulle misure da prendere. Se non agiamo però subito con un piano straordinario di interventi da mettere in campo a sostegno dei territori maggiormente colpiti sarà il disastro”: è quanto dichiara il segretario Dem della Toscana e deputato Pd Emiliano Fossi depositando una interrogazione urgente per chiedere misure concrete a difesa delle imprese e dei lavoratori colpiti.
“Già con il 10 per cento i contraccolpi sarebbero stati notevoli, se questa cifra verrà aumentata i danni saranno insostenibili. La filiera vitivinicola toscana vale oltre 1,2 miliardi di euro di export annuo, dà lavoro a oltre 20.000 persone tra agricoltura, trasformazione e turismo, e rappresenta un presidio economico e sociale per interi territori. Ora, a causa dei dazi centinaia di milioni di euro di milioni di export sono già in bilico, con ordini a rischio e importatori americani che si rivolgono altrove. Serve subito un piano straordinario di interventi per le regioni colpite, a partire dalla Toscana: aiuti alle imprese, promozione sui mercati alternativi, strumenti finanziari per sostenere l’export, e una trattativa ferma con gli Stati Uniti. Difendere il vino toscano significa difendere il lavoro, il territorio e un pezzo identitario del nostro paese. Il tempo dell’attesa è finito. Il governo si muova”: conclude.