21/10/2025
Piero De Luca
Sarracino, Filippin, Madia, Prestipino, Lai, Graziano
1-00516

La Camera,

   premesso che:

    la politica di coesione, da sempre un pilastro della governance multilivello dell'Unione europea volto a ridurre le disparità regionali e sostenere i territori più svantaggiati, è oggetto negli ultimi anni di una profonda metamorfosi che, nella fusione con la politica economica, l'ha trasformata da strumento di solidarietà a carattere redistributivo e territoriale a uno strumento di governance economica. In particolare, è in corso negli ultimi mesi un vero e proprio processo di riforma, che ha preso le mosse dalla proposta presentata dalla Commissione europea di revisione intermedia del ciclo di programmazione 2021-2027;

    la revisione relativa al ciclo 2021-2027, recentemente approvata dal Parlamento europeo, consentirà agli Stati membri di riprogrammare le risorse destinandole anche a nuove e diverse finalità, tra le quali la competitività, la difesa, l'edilizia abitativa, la gestione delle risorse idriche e la transizione energetica;

    nel suo parere su tale revisione intermedia, la Corte dei conti europea ha rilevato che, sebbene con la riprogrammazione si possa migliorare la capacità di rispondere all'evolvere delle priorità dell'Unione europea, si rischia altresì di aumentare la frammentazione e la complessità attuativa dei programmi della politica di coesione, sovraccaricando così le amministrazioni nazionali, nonché di indebolire l'obiettivo originario di riduzione delle disparità regionali e l'approccio basato sul territorio, che consente di adattare gli investimenti alle esigenze e alle potenzialità specifiche di ciascuna regione. Inoltre, la Corte ha sollevato dubbi su come possano applicarsi agli investimenti nella difesa gli obblighi di trasparenza e del principio del «non arrecare danno significativo» (Dnsh) a livello ambientale, cui è soggetta la politica di coesione;

    oltre alla revisione intermedia del ciclo 2021-2027, la Commissione europea sta procedendo, nell'ambito della definizione del nuovo bilancio dell'Unione europea per il periodo 2028-2034, ad una riforma completa della politica di coesione che prevede, oltre all'unificazione con altri fondi, tra cui quelli destinati alla politica agricola, e al loro utilizzo per affrontare priorità nuove ed emergenti, anche la centralizzazione della gestione dei fondi, attraverso l'introduzione dei Piani di partenariato nazionali e regionali, la riduzione degli attuali programmi che coinvolgono diversi livelli di governo e il collegamento dei finanziamenti al raggiungimento di riforme da implementare;

    in particolare, tale riforma solleva preoccupazioni in merito al rischio di una progressiva rinazionalizzazione della politica di coesione, con una governance sempre più accentrata e orientata all'efficienza economica piuttosto che all'equità territoriale, tradendone l'impianto e le finalità originari di convergenza e solidarietà territoriale e rischiando di compromettere la legittimità e l'efficacia nei confronti delle regioni storicamente più fragili, che hanno fatto affidamento su tali strumenti per sostenere il proprio sviluppo socio-economico;

    l'introduzione dei piani di partenariato nazionali e regionali per gli investimenti e le riforme, vagliati dalla Commissione europea, in luogo dei programmi in capo alle autorità di gestione, va a detrimento del principio di sussidiarietà; inoltre, come per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, i pagamenti si fonderebbero sul conseguimento soddisfacente di traguardi e obiettivi, anziché sul rimborso delle spese ammissibili;

    in Europa e in Italia permangono gravi disparità regionali che costituiscono un ostacolo alla competitività, con territori in cui si aggravano i fenomeni di scarsa crescita economica, fuga di cervelli, spopolamento, crisi climatiche: secondo i dati diffusi da Eurostat, nel 2024, oltre 93 milioni di persone, pari al 21 per cento della popolazione, vivevano a rischio di povertà o esclusione sociale. Tra le 243 regioni europee analizzate, 93 superavano la media dell'Unione europea, confermando un'Europa spaccata tra zone di prosperità e territori in affanno. In particolare, il Mezzogiorno registra con la Guyana francese il più alto rischio povertà ed esclusione sociale: la Calabria registra un tasso di vulnerabilità del 48,8 per cento, la Campania del 43,5 per cento, la Sicilia del 40,9 per cento e la Puglia del 37,7 per cento, ben oltre la soglia critica del 33 per cento;

    in Italia, la proposta di riforma della politica di coesione rischia di tradursi in una riduzione delle risorse destinate alle aree più deboli, allarme aggravato dalla diminuzione dei fondi destinati all'agricoltura e dagli effetti dei dazi imposti dall'Amministrazione Trump;

    è paradossale che la politica di coesione, che ha avuto un ruolo importante nel sostenere progetti innovativi e nel ridurre le disuguaglianze territoriali, possa essere drasticamente ridimensionata proprio ora che un italiano, originario del Sud, ricopre un ruolo di rilievo nella Commissione europea;

    del resto, l'impianto complessivo della riforma delineata dalla Commissione europea, e in particolare dal suo responsabile per la coesione e le riforme, ricalca in parte il modello adottato in Italia dallo stesso Fitto, allora Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, in relazione al principale strumento finanziario nazionale di attuazione delle politiche di coesione, il Fondo sviluppo e coesione;

    la definizione e l'attuazione dei nuovi strumenti di attuazione introdotti con la revisione della disciplina di tale Fondo per l'attuale ciclo di programmazione 2021-2027 (con i cosiddetti decreti «Sud» e «coesione») – gli «Accordi per la coesione» in sostituzione dei precedenti «Piani sviluppo e coesione» – ha causato rallentamenti e difficoltà operative per le regioni, nonostante la fattiva collaborazione delle medesime, impedendo una programmazione economica completa e bloccando l'utilizzo delle risorse, soprattutto nel Mezzogiorno, fortemente penalizzato dal ritardo nella realizzazione degli interventi necessari alla riduzione del divario territoriale;

    d'altronde, il Governo Meloni ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo si è distinto sin dal suo insediamento come un Governo profondamente antimeridionalista: basti ricordare, ad esempio, il taglio di 3,5 miliardi di euro del fondo perequativo infrastrutturale, che ha penalizzato ospedali, strade e reti idriche, l'opposizione al salario minimo, il progetto di autonomia differenziata, che mina le opportunità, rischia di consolidare il divario con le regioni più ricche, mette a rischio servizi, diritti e anche investimenti, minacciando l'unità del Paese, la continua riorganizzazione burocratica delle zone economiche speciali, improvvisata, calata dall'alto, segno evidente dell'assenza di una reale politica per lo sviluppo del Meridione, utilizzato sempre ad avviso dei firmatari del presente atto solo come terreno di nomine e incarichi, il ritardo nella sottoscrizione degli Accordi per la coesione e, conseguentemente, nell'assegnazione effettiva delle risorse, il taglio di 2,1 miliardi di euro del Fondo sviluppo e coesione per gli anni 2026 e 2027 previsto dal disegno di legge di bilancio;

    un'ulteriore dimostrazione del disinteresse del Governo verso la riduzione dei divari territoriali è rappresentata dai contenuti del Piano strategico nazionale per le aree interne in cui si teorizzava – come obiettivo – l'accompagnamento ad un percorso di spopolamento irreversibile di alcuni di questi comuni. Nonostante la necessaria correzione di questa parte avvenuta a fine luglio 2025, permane l'assenza di risorse da dedicare ad interventi riferibili esclusivamente a questi territori a valere sul Fondo sviluppo e coesione;

    la coesione sociale e territoriale è altresì uno dei pilastri del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che mira a ridurre i divari demografici, economici e di servizi tra le diverse aree del Paese — in particolare tra Sud e Centro-Nord, nonché tra zone urbane e aree interne o rurali;

    il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud costituiscono una delle priorità trasversali a tutte le missioni del Piano ed è sostenuta da un impegno finanziario significativo: almeno il 40 per cento delle risorse «territorializzabili» del Piano nazionale di ripresa e resilienza è destinato alle regioni del Mezzogiorno;

    a causa dei ritardi accumulati nella fallimentare gestione del Piano, il Governo, che sta procedendo ad una nuova revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per le misure non sostituibili con altre destinate alla stessa finalità di politica pubblica, prospetta genericamente il ricorso ai fondi di coesione, con il rischio oltretutto di cancellarne i progetti già programmati,

impegna il Governo:

1) a ribadire l'importanza della politica di coesione quale strumento fondamentale per la riduzione delle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali all'interno dell'Unione europea, in linea con i principi di solidarietà, inclusione e coesione sanciti dai Trattati, contrastando il ridimensionamento del ruolo delle regioni e degli enti locali in favore di un approccio centralizzato e tematicamente settoriale, distante dalle reali esigenze dei territori;

2) a promuovere la salvaguardia del principio della destinazione territoriale dei fondi di coesione, con particolare attenzione alle regioni meno sviluppate e strutturalmente svantaggiate;

3) ad adottare iniziative di competenza volte a sostenere il rafforzamento delle capacità amministrative delle autorità locali e regionali, al fine di migliorarne il ruolo nella gestione e nell'attuazione dei programmi di coesione;

4) a non compromettere le finalità e le progettualità legate alle politiche di coesione, utilizzandone le risorse per spese legate agli investimenti nella difesa o per coprire i ritardi nella realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

5) a rispettare i vigenti vincoli di destinazione delle risorse territorialmente allocabili;

6) a non subordinare la politica redistributiva e solidaristica a logiche emergenziali o geopolitiche, perseguendo gli obiettivi strategici comuni dell'Unione (in ambiti quali innovazione, transizione verde e digitale) con risorse diverse da quelle della politica di coesione;

7) ad adottare iniziative volte a stanziare risorse aggiuntive per le aree interne finalizzate a contrastare il fenomeno dello spopolamento e garantire il «diritto a restare», finanziando politiche nazionali che incentivino lo sviluppo socio-economico di queste aree e garantiscano l'accesso ai servizi essenziali, in particolare a quelli relativi al trasporto pubblico locale, all'istruzione e alla sanità.

Seduta del 20 ottobre 2025

Intervento in discussione generale di Patrizia Prestipino

 

Seduta del 22 ottobre 2025

Dichiarazione di voto di Piero De Luca