“Il 20 settembre il Partito Democratico sarà in piazza al Disability Pride. Perché senza pari dignità delle persone con disabilità non può esserci giustizia sociale”. Lo dichiara Marco Furfaro, capogruppo dem in commissione Affari Sociali della Camera e responsabile nazionale Welfare del Partito Democratico.
“Il governo Meloni - aggiunge l'esponente dem - taglia fondi: dal “Dopo di noi” ai centri estivi, e lascia milioni di persone e famiglie senza servizi. Noi portiamo proposte concrete: dall’istituzione dell’operatore per l’affettività e la sessualità al diritto di accesso ai luoghi pubblici con cani guida, dall’universal design alle norme per la partecipazione a eventi culturali e sportivi, fino al voto telematico per chi ha disabilità motorie o sensoriali”.
“È questa - conclude Furfaro - l’idea di Paese che vogliamo: inclusivo, giusto, rispettoso della dignità di tutti. Non bastano parole di circostanza: servono diritti, sostegno all’autodeterminazione e risorse vere”.
“Come Pd siamo fortemente contrari alla riforma della Giustizia sulla separazione delle carriere perché è una riforma pericolosa che si accanisce sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Tra la Costituzione scritta da Calamandrei e la proposta di Nordio e Delmastro Delle Vedove non abbiamo dubbi: difendiamo la Costituzione italiana”. Così il deputato Federico Gianassi, capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera.
"Autodeterminazione del popolo iraniano e transizione verso la democrazia. Le parole della premio Nobel Narges Mohammadi, oggi in conferenza stampa alla Camera in occasione del terzo anniversario della nascita del movimento "Donna, vita, libertà", sono state forti e chiarissime". Lo dichiara Laura Boldrini, deputata Pd, a margine della conferenza stampa che si è tenuta questa mattina alla Camera.
"Dopo l'uccisione tre anni fa di Mahsa Amini, il movimento sta profondamente cambiando la società iraniana e ora la richiesta non è più di riforme, ma di un vero e proprio cambio di regime anche perché la Repubblica islamica ha dimostrato di non essere riformabile - sottolinea Boldrini -. L'obiettivo è far cadere la dittatura teocratica degli ayatollah e per questo il sostegno della comunità internazionale al movimento stesso e le pressioni dei governi sul regime sono fondamentali. Come lo sono per ostacolare le condanne a morte di attiviste e attivisti attualmente detenuti per essersi opposti al governo della Repubblica Islamica".
"Abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere "Donna, vita, libertà" - ricorda la deputata dem -. Abbiamo dato seguito alla richiesta di Mohammadi di sostenere l'introduzione del reato di apartheid di genere nella Convenzione sui crimini contro l’umanità che si sta elaborando all'Onu con una risoluzione, a mia prima firma, approvata all'unanimità che impegna il governo italiano in questo senso". "Adesso - conclude - ci impegniamo ad appoggiare anche la richiesta di un referendum libero e monitorato da osservatori internazionali che permetta al popolo iraniano di autodeterminarsi e iniziare la transizione verso la democrazia, la pace, l'uguaglianza e la giustizia".
Si ricorda che per gli uomini è obbligatorio l'uso della giacca.
“La sentenza della Corte d’Assise di Chieti sull’omicidio di Alina Cozac a Spoltore rischia di tradursi in una insostenibile contorsione della Giustizia e della norma: pare quantomeno difficile comprendere come si possa derubricare un delitto da volontario a preterintenzionale valutando solo per quanto tempo le mani dell’uomo hanno stretto la gola della donna. Sarebbe come dire che il compagno voleva ucciderla, ma non troppo. Mi ritengo un garante del diritto alla difesa e del giusto processo, ma credo anche che il diritto non possa essere stiracchiato o sbrindellato come un elastico in virtù di valutazioni emozionali". Così in una nota il deputato abruzzese del Pd Luciano D'Alfonso sulla sentenza dell'omicidio di Alina Cozac.
Ma, al di là delle motivazioni - continua il parlamentare dem - quello che oggi suscita perplessità è l’impatto che l’esito delle investigazioni e degli interrogatori in aula ha generato: da una prima lettura della vicenda se ne deduce che la sera dell’omicidio l’uomo avrebbe voluto ferire la compagna, ma siccome le sue mani hanno indugiato sul collo della donna pochi minuti o secondi, vuol dire che dopotutto non voleva proprio ucciderla, e se poi è morta è stato un tragico incidente. Una tale lettura, che significa veramente fare un gioco di prestigio con il diritto penale, manderebbe in archivio anni di lotte sul femminicidio che pure hanno partorito la norma che disciplina i reati del Codice Rosso. E non credo che fossero queste le intenzioni dei magistrati giudicanti. Sicuramente la sentenza non ha determinato la chiusura di una vicenda tragica, drammatica, che ha segnato il nostro Abruzzo, una vicenda che a nostra volta non possiamo derubricare come l’ennesimo episodio da relegare a una fredda statistica di fine anno". "Spetterà agli ulteriori gradi della Magistratura, che è scontato verranno interpellati, decidere se eventualmente aggiustare, o meno, il tiro di una lettura della norma che effettivamente rischia di diventare un caso-scuola, apripista di sentenze difficili da accettare e da capire”, conclude D'Alfonso.
“Il ministro Nordio afferma che il caso Almasri è una vicenda politica e che come tale avrebbe dovuto essere trattata in Parlamento “dove avremmo detto tutto il possibile e tutto quello che poteva servire per far emergere la verità”. Vale la pena ricordare al ministro che grazie a lui, ai suoi colleghi e ad alcuni collaboratori, abbiamo almeno cinque verità diverse. Ancora una volta inoltre il ministro pretende che le decisioni di questo Governo non debbano incontrare limiti nella legge e che nessuno possa dire niente ma solo applaudire. Il Ministro Nordio ha comunque la piena possibilità politica di chiedere ai gruppi parlamentari di maggioranza che lo sostengono di autorizzare il Tribunale dei ministri a procedere. Sarebbe questo l’unico modo per affrontare con trasparenza e nelle sedi competenti della giustizia un caso che ha portato alla liberazione di un criminale efferato. Troppo comodo nascondersi dietro gli automatismi della legge: serve un atto di responsabilità politica, non di scarico istituzionale” così la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani risponde al ministro Nordio che ha detto che “la garanzia dalla legge costituzionale e' data alla carica e non e' rinunciabile”.
«Quanto emerge oggi dagli atti ufficiali della Camera dei deputati sulla seduta di ieri della Giunta delle autorizzazioni a procedere sul caso Almasri è di una gravità senza precedenti. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha mentito al Parlamento e agli italiani quando ha sostenuto che la scarcerazione di Almasri fosse stata una scelta autonoma della magistratura. L’istruttoria del Tribunale dei ministri dimostra invece che vi fu una precisa strategia del Governo, concordata nelle riunioni del 19 e 20 gennaio, fondata sul “mancato intervento” del Ministero della Giustizia: una scelta politica che ha reso inevitabile la liberazione del criminale libico. È altrettanto evidente che la successiva espulsione di Almasri non fu il frutto di un automatismo tecnico, come fatto intendere da Meloni, ma l’esito di un piano deciso a tavolino, con tanto di volo già predisposto prima ancora della scarcerazione. In quella riunione del 20 gennaio – a cui parteciparono ministri, sottosegretari e i vertici dei nostri apparati di sicurezza – si discusse consapevolmente di come non intervenire per lasciare che la Corte d’Appello disponesse la liberazione, così da poter poi procedere all’espulsione. Siamo davanti a una menzogna inaccettabile da parte della Presidente del Consiglio. Per questo chiediamo che venga immediatamente a riferire in Parlamento: la trasparenza è un dovere, non un optional” conclude Antonella Forattini, capogruppo democratica in Giunta delle autorizzazioni a procedere commentando gli atti sul caso Almasri, che da oggi sono disponibili nei resoconti ufficiali della Camera.
"Domani chiederemo al ministro Tajani sulla base di quali accordi con il governo di Benjamin Netanyahu, sul cui capo pende un mandato di cattura internazionale, si è deciso di ospitare in Sardegna e nelle Marche decine di militari dell'Idf per di più offrendo loro la tutela delle nostre forze dell'ordine.
Stiamo parlando di soldati che, su ordine del governo israeliano, hanno contribuito a sterminare 63mila palestinesi a Gaza, tra cui 20mila bambini. Stiamo parlando di soldati che hanno adottato condotte genocidarie che sono all'esame della Corte di giustizia internazionale.
Per noi è una decisione vergognosa, com'è vergognosa la postura di complicità che il governo italiano ha adottato nei confronti di
La scelta è se stare dalla parte della vittime di un genocidio o esserne complici. Loro hanno scelto di essere complici, noi abbiamo scelto di essere dalla parte delle vittime e del diritto internazionale". Lo ha dichiarato Laura Boldrini, deputata Pd e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, intervenendo nell'aula di Montecitorio.
“Chiediamo con forza un passo indietro immediato e un’assunzione di responsabilità da parte del governo. La giustizia non può essere amministrata da chi è a sua volta sotto inchiesta per fatti così gravi. E non si evochi il garantismo perché qui stiamo parlando di precondizioni essenziali per assumere e svolgere ruoli così importanti” così la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani commenta l’iscrizione del capo di Gabinetto del ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi, nel registro degli indagati dalla procura di Roma, per false dichiarazioni nell'ambito del procedimento per il caso Almasri, il comandante libico arrestato e poi rimpatriato dall'Italia nel gennaio scorso. “Abbiamo un Ministro della Giustizia indagato per favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio, e la sua Capo di Gabinetto, Giusi Bartolozzi, per false dichiarazioni ai magistrati – prosegue Serracchiani - in un Paese normale, chi riveste incarichi così delicati avrebbe già rassegnato le proprie dimissioni per rispetto delle istituzioni e dei cittadini. Invece, apprendiamo che nell’attuale governo di destra questi procedimenti finiscono addirittura per alimentare i “curriculum” politici, con la conseguente scelta di proteggere situazioni indifendibili. È una decisione incomprensibile e pericolosa: lasciare al loro posto i vertici del Ministero della Giustizia significa trasformare il cuore dello Stato di diritto in un carrozzone fondato su amichettismo e opacità. Quanto sta accadendo a via Arenula è la plastica fotografia di come la destra riduce le istituzioni, piegandole a logiche di potere invece che a principi di legalità e trasparenza”, conclude la democratica.
"No, caro Staffan De Mistura, il fronte Polisario non è un semplice gruppo, come improvvidamente dichiarato, ma è l'unico e legittimo rappresentante del popolo Saharawi".
Lo dichiara il deputato dem, Stefano Vaccari, segretario di Presidenza della Camera e coordinatore dell'Intergruppo parlamentare di amicizia con il popolo Saharawi, in replica a Staffan De Mistura, inviato personale del segretario generale dell'Onu, che ha definito il Polisario come un semplice Gruppo.
"De Mistura - aggiunge - sembra non conoscere il fatto, ed è grave per chi dovrebbe ufficialmente occuparsene, che lo stesso Onu, ma anche tanti Paesi e l'Unione Africana riconosce la legittimità di rappresentanza del Fronte Polisario ribadita giuridicamente dalla Corte di Giustizia Europea. Anziché avventurarsi in pericolose semplificazioni Staffan De Mistura lavori con più solerzia nella direzione di ridare dignità e fiducia al popolo Saharawi cacciato militarmente dai propri territori dal regime marocchino nel 1976. Ora quel popolo vive in esilio forzato e continua a subire sopraffazione ed angherie, sia nei territori occupati del Sahara Occidentale sia nei campi Profughi in Algeria, che invece dovrebbero essere fermate per ristabilire il diritto dell'autodeterminazione del popolo Saharawi e trovare dopo 44 anni di tentativi andati falliti una soluzione diplomatica condivisa tra le parti. Ed il Fronte Polisario, se lo ricordi Staffan De Mistura, si batte esattamente per questo. Ora - conclude - ci aspettiamo che lo faccia anche Staffan De Mistura con equilibrio e responsabilità come era riuscito a fare finora".
iamo molto, molto preoccupati per quello che è accaduto questa notte ai danni della barca principale della Global Sumud Flotilla: secondo quanto affermato dagli stessi attivisti, si sarebbe trattato di un attacco con un drone che ha messo a rischio l’incolumità delle persone a bordo.
I video pubblicati sui social documentano con molta chiarezza quello che è successo". Lo ha dichiarato Laura Boldrini deputata PD e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, intervenendo oggi in apertura dei lavori di Montecitorio.
"La Global Sumud Flotilla è una iniziativa pacifica, legale e umanitaria. Ma come molti di noi temevano, c'è chi vuole renderla anche pericolosa. L’obiettivo della missione è rompere l’assedio illegale di Israele su Gaza e portare gli aiuti, raccolti grazie a migliaia di persone che si sono mobilitate con la speranza di soccorrere il popolo palestinese stremato - ha ricordato Boldrini-. Sono gli Stati, per dovere imposto dal diritto internazionale, che dovrebbero rompere l’assedio che sta provocando la carestia nella Striscia di Gaza che, secondo le Nazioni Unite, può portare alla morte di un quarto della popolazione. E sono gli Stati a dover intervenire per fermare il genocidio, come richiesto dalla Corte internazionale di giustizia e dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio".
"La nostra segretaria Elly Schlein ha scritto alla presidente del Consiglio chiedendo protezione per la missione, ma Meloni ha risposto in modo evasivo e cercando di minimizzare la missione stessa - ha concluso la deputata dem- . Dopo quanto accaduto, venga in aula, la presidente Meloni, e ci venga a spiegare come intende proteggere chi si trova a bordo di quelle imbarcazioni, decine di connazionali tra cui anche quattro parlamentari".
*È arretramento democratico e presenta diversi elementi di incostituzionalità*
Le audizioni promosse dal gruppo parlamentare del Pd della Camera hanno registrato una bocciatura unanime della riforma costituzionale voluta dal Governo. Sono intervenuti Christian Ferrari (CGIL), Cesare Parodi (ANM), Margherita Cassano (Prima Presidente della Corte di Cassazione), Ugo De Siervo (Presidente emerito della Corte Costituzionale), Mitja Gialuz (Università di Genova), Gaetano Azzariti (Università Sapienza Roma), Italo Sandrini e Valerio Martinelli (ACLI), Emilio Ricci (ANPI), Franco Coppi (Avvocato e giurista), Ivana Veronese (UIL). Voci diverse, provenienti dal mondo della giustizia, del diritto e delle parti sociali, che hanno evidenziato come la riforma presenti “gravi profili di incostituzionalità e non risponda alle reali emergenze del sistema giudiziario, rischiando invece di minarne l’equilibrio democratico e l’indipendenza”.
Secondo il Pd, il quadro che emerge è netto: la riforma non nasce per rafforzare la giustizia, ma per stravolgere la Costituzione. Come ha ricordato la capogruppo Pd Chiara Braga, si tratta di “un intervento ideologico costruito per punire la magistratura e portato avanti nel silenzio dei partiti di maggioranza, con un Parlamento ridotto a pura ratifica”. Una denuncia che si intreccia con quella della responsabile nazionale giustizia Debora Serracchiani, che ha sottolineato come “non ci sia nulla di tecnico in questo provvedimento che è il frutto di una scelta tutta politica che chiude ogni spazio di confronto e mina le garanzie dei cittadini, segnando un ulteriore arretramento democratico”.
La gravità del metodo è stata ribadita anche dal deputato Federico Fornaro, che ha parlato di “una maggioranza che tratta la Costituzione come fosse un decreto legge, ricordando che è il primo caso nella storia repubblicana in cui un testo costituzionale uscito dal Consiglio dei ministri arrivi in Parlamento blindato, senza possibilità di modifica, riducendo di fatto le Camere a semplici ratificatori”.
Sul merito della riforma, la capogruppo in Commissione Affari Costituzionali Simona Bonafè ha messo in evidenza come essa venga “venduta come risposta ai problemi della giustizia, ma non intervenga su nulla: né sui tempi lunghissimi dei processi, né sulla carenza di personale, né sull’efficienza del processo telematico. È un grave strappo istituzionale che tradisce i cittadini”.
Un giudizio condiviso dal capogruppo Pd in Commissione Giustizia Federico Gianassi, che ha aggiunto: “La separazione delle carriere non accelera i procedimenti né migliora l’efficienza, lo ha ammesso lo stesso ministro Nordio. Serve solo a indebolire la magistratura e a piegare il pubblico ministero all’influenza dell’esecutivo, avviando un percorso pericoloso di stravolgimento della Costituzione repubblicana”.
Molti degli auditi hanno sottolineato, inoltre, l’importanza di questo ulteriore momento di ascolto promosso dal Pd, non solo per denunciare i gravi rischi della riforma, ma anche per contribuire a costruire nel Paese una coscienza sociale più consapevole. Un passaggio decisivo in vista del referendum confermativo, che sarà lo strumento con cui i cittadini potranno difendere l’equilibrio dei poteri e i principi fondamentali della democrazia. Le audizioni di oggi hanno dunque confermato un punto: a fronte di una riforma ideologica, isolata e priva di soluzioni ai problemi concreti della giustizia italiana, può crescere un’ampia mobilitazione che coinvolge forze politiche e rappresentanti del mondo giuridico a difesa della Costituzione e dell’indipendenza della magistratura.
“La separazione delle carriere non è una riforma della giustizia, ma un’operazione ideologica che smantella la Costituzione, attacca la separazione dei poteri e non affronta in alcun modo i problemi concreti del sistema giudiziario. La maggioranza preferisce riproporre vecchie battaglie identitarie piuttosto che lavorare su ciò che serve davvero a cittadini e imprese”, dichiara Federico Gianassi, capogruppo democratico in Commissione Giustizia della Camera, a margine delle audizioni promosse oggi dal Pd.
“Il Paese aspetta riforme capaci di ridurre i tempi infiniti dei processi, di garantire personale stabile negli uffici giudiziari, di rendere efficiente e davvero funzionante il processo telematico. A queste urgenze, il governo risponde con una riforma che non velocizza un solo procedimento e che, come ha ammesso lo stesso ministro Nordio, non produce alcun miglioramento sul piano dell’efficienza. È chiaro l’obiettivo: indebolire l’autonomia della magistratura e piegare il pubblico ministero all’influenza dell’esecutivo. Ancora più grave, è la prima volta nella storia repubblicana che un testo uscito dal Consiglio dei ministri arriva in Parlamento blindato e destinato a essere approvato senza alcuna modifica, riducendo il ruolo del Parlamento a pura ratifica. Per questo continueremo a contrastare con forza questa sciagurata riforma e a difendere la Costituzione repubblicana, scritta per garantire equilibrio e indipendenza dei poteri, contro una destra che vuole piegare la giustizia alle logiche della politica”.
“La riforma costituzionale sulla cosiddetta separazione carriere, portata avanti dalla maggioranza senza alcun coinvolgimento delle opposizioni, rappresenta un grave strappo istituzionale. Si relega il Parlamento al ruolo di semplice ratificatore dei patti di governo come se fossimo davanti a un decreto legge. Una riforma venduta come risposta ai problemi della giustizia, ma che non interviene sulle vere emergenze del sistema, a partire dalla lentezza dei processi”, ha dichiarato Simona Bonafè, capogruppo democratica in Commissione Affari costituzionali, intervenendo al ciclo di audizioni promosse dal Pd. “Mentre il governo rifiuta qualsiasi confronto in Parlamento, il Partito Democratico ha scelto di aprire uno spazio di ascolto con il mondo della giustizia e della società civile attraverso una giornata di audizioni informali, che stanno mettendo in luce le molte criticità e preoccupazioni suscitate da questa riforma. Ancora più grave, proprio in queste ore, è l’invito del ministro Nordio a non schierarsi sul referendum, un segnale che appare come un tentativo di limitare ulteriormente ogni forma di dissenso e critica verso questa pessima riforma” conclude Bonafè.
“La maggioranza sta affrontando la riforma costituzionale sulla giustizia come se fosse un decreto legge, senza alcun confronto con le opposizioni e senza ascoltare le voci del Parlamento. Siamo già in campagna referendaria e la modalità con cui questo provvedimento viene portato avanti rappresenta un vero e proprio attacco alla Costituzione e al principio della separazione dei poteri”, dichiara il deputato democratico Federico Fornaro componente dell’ufficio di presidenza del gruppo del Partito Democratico alla Camera.
“Il Partito Democratico - aggiunge Fornaro - ha promosso un ciclo di audizioni con il mondo della giustizia e la società civile per evidenziare le criticità e le preoccupazioni che questa riforma solleva. Tuttavia, la maggioranza ha scelto la chiusura totale al dialogo, mostrando chiaramente l’intento politico di blindare il testo e ridurre il Parlamento a semplice ratificatore. È il primo caso nella storia repubblicana in cui un testo costituzionale arriva in Parlamento già chiuso e inappellabile: un totale negazione della volontà dei costituenti e dello spirito della nostra Carta”.